Stupefacenti: gli indicatori dell’attività di spaccio secondo legge e giurisprudenza
Nella sentenza n. 24651/2023 la Terza Sezione della Corte di Cassazione, nel ribadire che la valutazione del giudice di merito riguardante l’accertamento circa la finalità di cessione a terzi della detenzione di sostanze stupefacenti, se correttamente motivata, costituisce un giudizio di fatto, ha individuato 11 indicatori utili a rivelare la destinazione della droga allo spaccio.

Il fatto
Durante un controllo effettuato sugli imputati – già sospettati a causa di una manovra improvvisa compiuta in orario notturno alla vista dei Carabinieri – la polizia giudiziaria aveva percepito un intenso odore di marijuana. Inoltre, aveva notato un contenitore salva-vivande in plastica con coperchio trasparente, all’interno del quale si trovavano altri piccoli recipienti, posizionato in modo visibile ai piedi del passeggero Caio.
Durante la perquisizione del veicolo, gli agenti trovavano all’interno del contenitore per alimenti numerose infiorescenze di marijuana, per un peso totale di 20,4 grammi, confezionate in un sacchetto di cellophane trasparente.
Inoltre, venivano state rinvenute alcune infiorescenze di marijuana, del peso di 2,8 grammi, conservate in una confezione di caramelle “Tic-Tac”, insieme a residui di hashish per un peso complessivo di 17,3 grammi. Accanto a questi, è stato individuato un coltello da macellaio lungo 32 cm (con una lama di 20 cm), ancora intriso di residui di hashish, e posizionato ai piedi di Caio.
Durante la perquisizione personale, i Carabinieri rinvenivano, nella tasca posteriore destra dei pantaloni di Caio, un frammento di panetto di sostanza resinosa, presumibilmente hashish, del peso complessivo di 45,8 grammi. Inoltre, nella tasca destra del giubbotto indossato da Tizio, veniva rinvenuta la somma di 230 euro, suddivisa in banconote di piccolo taglio.
Il giudizio di merito concludeva che la droga rinvenuta fosse destinata allo spaccio, basandosi su una serie di elementi inequivocabili. Tra questi, il quantitativo significativo di sostanza stupefacente detenuta, sufficiente per ricavare complessivamente 315,16 dosi singole, e la condizione economica di Caio, privo di beni e disoccupato, che non aveva saputo fornire spiegazioni plausibili sull’origine di tale accumulo.
Ulteriori indizi avevano rafforzato questa conclusione: le modalità di detenzione e confezionamento della droga, la presenza di un coltello sporco di hashish e il fatto che il Caio stesse viaggiando nel cuore della notte con la sostanza a portata di mano, insieme allo strumento utilizzato per porzionarla. Tale viaggio era rimasto privo di una spiegazione convincente, se non per un improbabile e fumoso “passaggio” fornito dal Tizio, il quale, peraltro, era in possesso di 230 euro, suddivisi in banconote di piccolo taglio (nove da 20 euro e una da 50 euro). Questo dettaglio, unito agli altri elementi, ha portato i giudici a ritenere altamente probabile che tale somma fosse il provento di una precedente attività di cessione di droga a terzi, confermando anche il contributo concorsuale di Tizio nella vicenda.
La decisione della Corte
La Cassazione ha innanzitutto chiarito che il possesso di sostanze stupefacenti destinate a uso personale costituisce un elemento escludente della fattispecie incriminatrice prevista dall’art. 73 del DPR n. 309 del 1990, articolata nei vari reati definiti ai commi primo, quarto e quinto dello stesso articolo.
Spetta all’accusa provare la finalità di spaccio, circostanza che può essere ricavata, come per qualsiasi altro elemento di prova, da qualsiasi dato, anche indiziario, che, munito dei requisiti della univocità e della certezza, consenta di inferirne la sussistenza attraverso un rigoroso procedimento logico fondato su corrette massime di esperienza (cfr. Sez. 4, n. 4614 del 13/05/1997, Montino).
La Corte quindi segnala gli indicatori – previsti dalla normativa (art. 73, comma 1-bis, lettera a), ultimo periodo) o definiti dalla giurisprudenza – che, a titolo esemplificativo, possono o devono essere considerati per dimostrare la finalità di spaccio sono undici:
- l’eventuale condizione di tossicodipendenza dell’imputato e la sua entità;
- il contesto ambientale in cui l’imputato vive e risiede;
- i possibili rapporti e gli eventuali legami dell’imputato con individui implicati nel traffico di droga;
- la capacità economica dell’imputato in relazione allo stupefacente detenuto e ai prezzi del mercato;
- la qualità e la quantità dello stupefacente detenuto in rapporto alle necessità personali dell’imputato,
- la qualità e la quantità valutata anche in relazione al naturale decadimento degli effetti psicotropi e alle problematiche legate alla conservazione prolungata nel tempo;
- la varietà di tipologia delle sostanze stupefacenti detenute;
- le modalità di custodia e frazionamento della sostanza;
- il ritrovamento di sostanze e strumenti idonei al taglio;
- il luogo e le modalità di accertamento del fatto;
- il possesso di strumentazione tipiche dello spacciatore quali bilancini di precisione, bustine.
I giudici di legittimità hanno specificato che non è necessario che siano presenti tutti gli indici sopra citati per riconoscere l’esistenza del fine di spaccio. A tal proposito, la valutazione del giudice di merito in merito alla finalità di cessione a terzi della detenzione di sostanze stupefacenti costituisce un giudizio di fatto. Tale giudizio sfugge al controllo di legittimità, purché sia supportato da una motivazione priva di evidenti illogicità, emergenti dal testo della sentenza impugnata o da altri atti del processo specificamente indicati nell’atto di impugnazione (cfr. Sez. 4, n. 2522 del 26/01/1996).
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione ha rilevato come i giudici di merito, con duplice e conforme valutazione, abbiano individuato una serie di indicatori (quantità, frazionamento e custodia sostanza, luogo e modalità dell’accertamento, mancata giustificazione della presenza in auto in orario notturno, coltello intriso di hashish, possesso di banconote di piccolo taglio), utili a escludere la detenzione per uso personale. Tale valutazione, secondo la Corte, è stata sostenuta da una motivazione logica, priva di vizi di manifesta illogicità. Il ricorso, invece, si basa su argomentazioni generiche e meramente fattuali, che non si confrontano in modo adeguato con il provvedimento impugnato e, per loro natura, non sono suscettibili di esame in sede di legittimità.