Il rinvio della riforma Cartabia – L’estensione dei cd. reati ostativi – La normativa “Anti-Rave” nel nuovo reato ex art. 434 bis C.P.
Uno dei primi atti normativi emanati dal nuovo Esecutivo è stato il decreto legge 152 del 31 ottobre 2022 con il quale sono state introdotte modifiche al c.d. ergastolo ostativo, all’entrata in vigore della riforma Cartabia ed è stata introdotta una nuova fattispecie delittuosa, l’art. 434 bis C.P., rubricata «Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica».
Si è trattato di un intervento che suscita, sotto diversi profili, preoccupazioni e dubbi di legittimità costituzionale.
Il rinvio della riforma Cartabia
Quanto al differimento in blocco dell’entrata in vigore della riforma al 30 dicembre 2022 è evidente il carattere del tutto ingiustificato per quelle parti relative al sistema sanzionatorio ed esecuzione della pena che non manifestano alcun problema di natura organizzativa posto a fondamento delle ragioni d’urgenza del decreto.
E’ una scelta infatti che impedisce l’applicabilità di norme esistenti che avrebbero avuto da subito un effetto benefico sul processo anche secondo gli impegni assunti con il PNRR: basti pensare alla nuova regola di giudizio per l’archiviazione e il rinvio a giudizio, ai cd. filtri previsti in primo grado e in appello, al processo in assenza, ai riti alternativi, alla messa alla prova, alla remissione della querela.
Evidenti perplessità in ordine alla legittimità costituzionale suscita inoltre il differimento dell’entrata in vigore di norme penali sostanziali più favorevoli previste nella parte della riforma relativa al sistema sanzionatorio quale l’estensione dei casi di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto o la nuova disciplina delle pene sostitutive di pene detentive brevi.
L’estensione dei cd. reati ostativi.
Quanto all’inasprimento della disciplina dei cd. reati ostativi, l’intervento dell’Esecutivo sembra andare in contrasto rispetto le sollecitazioni della Corte Costituzionale (ordinanze nn. 97/2021 e 122/2022) che aveva rimesso al Parlamento l’intervento sulla disciplina vigente, della quale aveva evidenziato profili di illegittimità anche alla luce della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo Viola c. Italia del 2019.
L’art. 4 bis comma 1 bis, infatti, introduce una sorta di probatio diabolica a carico del detenuto in ragione di un obbligo di allegazione volto ad addurre «elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo, alla mera dichiarazione di
dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere
l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale
il reato è stato commesso nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite
terzi».
Viene aumentato a trent’anni il periodo di pena scontata affinché il condannato possa accedere alla liberazione condizionale; una disciplina difficilmente compatibile con gli artt. 3 e 27 comma 3 Cost., stante la contestuale introduzione di una disciplina di favore per i condannati collaboranti che possono accedere al beneficio dopo l’espiazione di almeno dieci anni di pena.
Il decreto estende inoltre la disciplina dei reati ostativi ben oltre i fatti di criminalità organizzata: nel nuovo comma 1 bis dell’art. 4 bis O.P. sono ricompresi alcuni delitti contro la pubblica amministrazione (in particolare i reati di peculato per appropriazione, concussione, corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione propria, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere commessa dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, istigazione alla corruzione).
Oltre modo irragionevolmente le preclusioni del comma 1 dell’art. 4 bis O.P. sono estese anche anche ai delitti diversi da quelli ostativi di prima fascia, qualora il giudice della cognizione o dell’esecuzione abbia accertato che sono stati commessi per eseguire o occultare uno dei reati ostativi di cui al medesimo primo periodo del comma 1 dell’art. 4 bis O.P. ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ovvero l’impunità di detti reati.
Di tutta evidenza come gli strumenti progettati per contrastare la criminalità organizzata per la quale è ragionevole prevedere una disciplina penale più severa, purché in linea con le garanzie costituzionali e sovranazionazionali, vedano esteso il loro ambito applicativo, senza che vi siano specifiche evidenze empiriche che giustifichino peculiari presunzioni di pericolosità e regimi differenziati.
Il nuovo delitto all’art. 434 bis C.P. – la norma “anti rave”
L’articolo 5 del decreto legge ha introdotto nel Codice Penale, tra i delitti contro l’incolumità pubblica, il nuovo art. 434 bis C.P, invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico, o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
Il testo del nuovo art. 434-bis c.p. è il seguente: “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita. È sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonché di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalità dell’occupazione”.
Una modifica al codice antimafia rende infine applicabili le misure di prevenzione personali ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434 bis c.p.
La norma, ad un primo sguardo, appare il frutto di una tecnica legislativa a dir poco approssimativa o quanto meno discutibile: il fatto penalmente rilevante viene descritto in maniera tautologica prima del precetto.
La tutela penale è anticipata incentrando il reato sull’invasione commessa al solo scopo di organizzare un raduno anche solo potenzialmente pericoloso, sebbene non si precisi come e quando si realizzi un pericolo per l’ordine pubblico, per l’incolumità pubblica o per la salute pubblica: ci si limita a evocare in maniera suggestiva oggettività giuridiche suscettibili di essere messe a repentaglio, senza alcuna precisazione del contesto e dei modi di aggressione e della messa in pericolo.
In altri termini, la norma non consente di attribuire alla connotazione concreta del pericolo alcuna funzione selettiva, giacché ogni assembramento o riunione cui prendano parte più di 50 persone potrebbe risultare implicitamente pericolosa per l’ordine pubblico.
Ne consegue che la scelta dei comportamenti che rientrino o meno nella fattispecie punita sono lasciati alla discrezionalità nell’immediato delle forze dell’ordine e successivamente del giudice, con tutti i rischi che ciò comporta per libertà e diritti, tra i quali sicuramente quello di riunione sancito dall’art. 17 della Costituzione, esposti a valutazioni arbitrarie stante l’indefinitezza della condotta incriminata.
A tale proposito, infatti, occorre evidenziare come la prospettata arbitrarietà dell’invasione avente ad oggetto un terreno o edificio, privato o pubblico, nel caso del privato deriverebbe evidentemente dalla mancanza di consenso del proprietario, mentre con riferimento ad una occupazione di spazi pubblici, di norma fruibili liberamente dai cittadini, l’arbitrarietà verrebbe rimessa alla presenza o meno di una autorizzazione o di assenso da parte dell’autorità competente rispetto al raduno organizzato.
Si tratta di una ipotesi in aperto contrasto con l’art. 11 CEDU che ha portato la Corte europea ha sanzionare le disposizioni penali che prevedano pene detentive per situazioni simili e che rappresenterebbero una ingerenza sproporzionata e non necessaria rispetto al diritto fondamentale di riunione (addirittura è considerata inammissibile anche la sanzione amministrativa per la mera partecipazione al raduno in caso di mancato preavviso).
Sotto tale aspetto è evidente il difetto di proporzionalità e ragionevolezza del trattamento sanzionatorio (reclusione fino a sei anni) che si produce inoltre non solo nella possibilità di effettuare intercettazione, ma anche nella previsione della confisca obbligatoria per le cose indicate al comma 4.
A queste perplessità si aggiunge infine la non chiara necessità di una tale fattispecie sotto l’aspetto delle politiche di prevenzione e repressione delle condotte illecite: il reato di occupazione abusiva di terreni o edifici è già previsto all’art. 633 C.P. e consente l’adozione di misure cautelari quali il sequestro del terreno o dell’edificio; il comma 2 dell’articolo prevede la circostanza aggravante – sanzionata
con la pena della reclusione da due a quattro anni – applicabile ove il fatto sia commesso da più di
cinque persone.