Omicidio stradale: condotta imprudente del pedone e responsabilità del conducente – la nozione di “rischio eccentrico”
Segnaliamo la sentenza n. 42018 della Quarta Sezione della Cassazione (dep. 8.11.2022) con la quale, in un caso di incidente stradale mortale, si richiama l’esclusione del nesso di causalità in ragione del comportamento rischioso del soggetto passivo.
Il fatto
L’imputato era stato chiamato a giudizio perché, alla guida di un autoveicolo, nel percorrere un tratto di strada urbano ma lontano dal centro abitato, avente manto ammalorato e costeggiato da muro in cemento di contenimento di poderi e non da edifici, alla velocità di circa 49 km/h (già considerato il margine d’errore del 5%), nonostante il limite di 30 km/h ancorché non segnalato, aveva travolto in «piena curva» il pedone (causandone il decesso) con l’avantreno ed al centro della propria corsia (art. 589 bis C.P. con colpa anche specifica, consistita nella violazione dell’art. 141 Codice della Strada).
L’investimento è stato accertato essersi verificato mentre il pedone, sbucato da un’apertura non segnalata presente nel muro di cemento sovrastato da vegetazione e provenendo dal proprio podere tramite scalette ivi presenti, era intento a raggiungere la sua vettura, parcheggiata sulla parte opposta della carreggiata, mediante un attraversamento, eseguito in assenza di strisce pedonali, «improvviso e inopinato» e con «azione […] totalmente imprevedibile ed alquanto pericolosa ed imprudente per sé e per i conducenti in transito».
Il giudizio di merito
La sentenza di primo grado, in ragione della totale assenza di cartellonistica stradale e dell’ubicazione periferica della strada (non costeggiata da edifici), ha ritenuto non rimproverabile il comportamento consistito nel superamento del limite di velocità (30 km/h) in quanto non conoscibile dall’imputato. Viste le condizioni di traffico assai scarso, di piena luce, di manto stradale asciutto e di assenza di segni di antropizzazione, è stata in particolare ritenuta non esorbitante la condotta di guida caratterizzata da una velocità di circa 50 km/h.
Al contrario, la condotta del pedone di rapido attraversamento immediatamente dopo l’impegno della curva e nelle descritte condizioni di luogo è stata ritenuta tale da costituire un ostacolo improvviso ed inatteso che l’imputato, per motivi estranei a qualsivoglia obbligo di diligenza, non avrebbe potuto evitare.
A seguito dell’impugnazione delle parti civili e dello svolgimento di perizia tecnica, la sentenza veniva riformata dalla Corte di Appello sulla considerazione che le circostanze della ricostruzione del fatto indicate (coincidenti per entrambi i giudizi di merito) erano tali da pregiudicare le condizioni generali di sicurezza della guida, per cui l’imputato avrebbe dovuto regolare la velocità del veicolo e la propria condotta in modo che le stesse non costituissero pericolo per la sicurezza delle persone e per prevedere i possibili comportamenti irregolari, in ipotesi incoscienti, degli altri utenti della strada.
Il ricorso
Il difensore della compagnia assicuratrice chiamata quale responsabile civile ha presentato ricorso in Cassazione deducendo vizio di legge e di motivazione, censurando in particolare la sentenza di secondo grado nella parte in cui, in maniera contraddittoria, pur ritenendo totalmente imprevedibile la condotta del pedone, sosteneva la responsabilità dell’imputato per non aver adeguato la velocità in ragione dei prevedibili comportamenti irregolari degli utenti della strada.
La decisione della Corte
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso rilevando come la sentenza della Corte di Appello non si sarebbe confrontata con la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto non addebitabile all’imputato un giudizio di rimproverabilità soggettiva per un atteggiamento antidoveroso della volontà.
Ma soprattutto, per la Cassazione la sentenza impugnata avrebbe omesso ogni valutazione in merito alla cd. «causalità della colpa», in termini quindi di effettiva sussunzione del rischio concretizzatosi in quello che la norma cautelare violata mirava a scongiurare, oltre che in ordine all’eventuale interruzione del nesso eziologico in forza dell’eccentricità del rischio in ipotesi attivato dalla condotta del pedone.
Quanto al primo dei due profili non considerati («causalità della colpa»), secondo la Corte, i giudici dell’appello hanno finito sostanzialmente con il violare il principio per cui qualora si consideri violata una regola cautelare cosiddetta «elastica», che cioè necessiti, per la sua applicazione, di un legame più o meno esteso con le condizioni specifiche in cui l’agente deve operare – al contrario di quelle cosiddette «rigide», che fissano con assoluta precisione lo schema di comportamento – è necessario, ai fini dell’accertamento dell’efficienza causale della condotta antidoverosa, procedere ad una valutazione di tutte le circostanze del caso concreto.
In altri termini, la sentenza di secondo grado avrebbe dovuto considerare non solo la velocità tenuta dal conducente, ma anche quella adeguata ovvero quella ragionevolmente in grado di evitare l’investimento, alla luce di tutte le circostanze del fatto ed alla stregua di un giudizio ex ante.
Il rischio eccentrico
Quanto al mancato accertamento dell’eventuale efficacia interruttiva del nesso eziologico, ben vero che l’esercizio del diritto di precedenza non può considerarsi illimitato, dovendo essere sempre subordinato al principio del neminem laedere.
Ed infatti, nel caso in cui un pedone attraversi la carreggiata fuori delle apposite strisce, il conducente del veicolo è tenuto a rallentare la velocità e, addirittura, a interrompere la marcia al fine di evitare incidenti che potrebbero derivare proprio dalla mancata cessione della precedenza a suo favore.
Se ciò non faccia, la responsabilità per l’eventuale evento colposo verificatosi è sempre a lui attribuibile, pur se al comportamento del pedone possa attribuirsi, secondo le condizioni del caso, una efficienza causale concorsuale in base all’apprezzamento motivato del giudice di merito (cfr. Sez. 4, n. 30824 del 16.06.2022).
Tuttavia, in tema di omicidio colposo, è principio consolidato che la responsabilità del conducente per l’investimento del pedone può essere esclusa laddove sia provato che la condotta di quest’ultimo si ponga come causa eccezionale e atipica, imprevista e imprevedibile, dell’evento, che sia stata da sola sufficiente a produrlo (cfr. ex plurimis, Sez. 4, n. 37622 del 30.09.2021).
Nel caso di specie, la Corte va oltre la previdibilità o l’imprevedibilità della condotta del pedone ed assume che “il comportamento del soggetto passivo del reato o del terzo, per poter essere ritenuto causa da sola sufficiente a cagionare l’evento deve aver introdotto nella sequenza degli antecedenti un rischio eccentrico“.
Ne consegue che, ai fini della decisione in termini di interruzione o meno del nessio eziologico, può non essere di per sé rilevante il grado di divergenza tra condotta attesa (quelle corretta e prevedibile) e condotta (scorretta e imprevedibile) del soggetto passivo del reato, quanto piuttosto sarà determinante la valutazione che abbia ad oggetto “l’innesco di un rischio – da parte del pedone – la cui gestione non era affidata al soggetto del cui responsabilità si controverte“.
Il mancato esame del profilo sopra indicato ha dato luogo all’annullamento con rinvio della sentenza impugnata dinanzi al giudice civile competente.