No all’abuso d’ufficio quando la condotta non rientra nello svolgimento delle funzioni o del servizio

Si segnala la pronuncia della Corte di Cassazione (Sezione VI del 17.02-14.04.2022 n. 14721) che ha annullato senza rinvio la condanna per tentato abuso d’ufficio (artt. 56 e 323 C.P.) in concorso pronunciata a carico di un consigliere comunale per aver assunto l’incarico di consulente presso azienda municipalizzata deputata alla raccolta di rifiuti nel medesimo Comune ove era stato eletto (azienda che aveva anche pagato le fatture presentate per le prestazioni erogate).

La Corte, infatti, ha stabilito che in tema di abuso d’ufficio, ai fini dell’integrazione del presupposto dello “svolgimento delle funzioni o del servizio”, è necessario che l’abuso sia realizzato attraverso l’esercizio del potere pubblico attribuito al pubblico agente, con conseguente esclusione del reato quando questi agisca senza servirsi in alcun modo dell’attività funzionale svolta ovvero quando la condotta sia soltanto occasionata dallo svolgimento delle sue funzioni, integrando tali comportamenti non correlati all’attività funzionale una mera violazione del dovere di correttezza, irrilevante ai sensi dell’art. 323 C.P. anche se realizzati in contrasto con l’attività istituzionale.

In altri termini, sebbene la condotta del consigliere comunale fosse censurabile sotto l’aspetto della violazione del dovere di correttezza stabilito dall’art. 78 comma 5 D.Lgs 267/2000 (norma comportamentale, per lo più rilevante ai fini civilistici in tema di validità dell’incarico o della consulenza), la stessa non poteva dirsi espressiva dell’attività pubblica affidatagli, dal momento che l’incarico professionale era stato assunto nella veste di privato cittadino e non nell’ambito dello svolgimento delle funzioni di consigliere comunale.

La sentenza ribadisce la funzione selettiva espressa dall’inciso “nello svolgimento delle funzioni o del servizio” contenuto nella norma incriminatrice, che stabilisce un collegamento tra la commissione dell’abuso e l’esercizio di una attività pubblica, limitando la rilevanza ai sensi dell’art. 323 C.P. soltanto ai quei comportamenti correlati all’attività funzionale del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio.

Ne discende che esulano dalla norma incriminatrice anche gli abusi di posizione dominante o di qualifica, ove l’agente (forse anche nel caso in esame) utilizzi indebitamente i riflessi sul piano sociale dello status che gli derivano dalla sua preposizione all’ufficio.