Nessun automatismo nella responsabilità del rappresentante legale per le ipotesi di riciclaggio o autoriciclaggio imputabili al gestore di fatto della società.
E’ quanto ribadito nella sentenza n. 43969 depositata il 18.11.2022 dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione che ha stabilito l’impossibilità di attribuire al prestanome di una società la responsabilità per i reati di riciclaggio ed autoriciclaggio, eventualmente commessi dall’effettivo amministratore, soltanto sulla base di una presunta posizione di garanzia o di un obbligo di impedire l’evento derivanti dalla carica sociale rivestita.
Nel caso in esame è stato rigettato il ricorso della Procura avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari che , in accoglimento dell’istanza di riesame avanzata dall’indagato dei reati di associazione a delinquere, reimpiego e riciclaggio, aveva annullato l’ordinanza del G.I.P. che aveva disposto nei confronti del prevenuto la misura degli arresti domiciliari.
Ben vero esiste un indirizzo giurisprudenziale che riguarda la responsabilità a titolo di dolo eventuale dell’amministratore di diritto e rappresentante legale a fronte di attività svolte dagli amministratori di fatto per condotte che abbiano integrato ipotesi di reati tributari ovvero di bancarotta documentale o per distrazione.
In questi casi, sussistendo sul rappresentante legale l’obbligo giuridico di effettuare le dovute dichiarazioni fiscali ed essendo dovuto il successivo pagamento delle imposte ovvero il mantenimento del patrimonio sociale e la regolare tenuta delle scritture contabili, sulla base dei molteplici riferimenti normativi che stabiliscono i precisi precetti in tema, l’omesso impedimento degli eventi delittuosi in tali casi può comportare una responsabilità a titolo concorsuale per i reati tributari ovvero le fattispecie di bancarotta documentale e per distrazione poste materialmente in essere dagli amministratori di fatto (cfr. Sez. 3, n. 2570 del 28/09/2018; Sez. 2, n. 8632 del 22/12/2020).
Al contrario non sussiste per l’amministratore di diritto un obbligo giuridico, ricavabile da uno specifico riferimento normativo in tal senso, che permetta l’applicazione generalizzata della clausola di cui all’art. 40 cpv C.P. anche a tutti gli altri reati (nel caso di specie artt. 648 bis e 648 ter C.P.) consumati all’interno delle compagini sociali ovvero mediante le stesse.
Come rilevato dai giudici di legittimità, se il rappresentante legale, anche mero prestanome, “è certamente tenuto alla regolare tenuta delle scritture contabili, al regolare pagamento delle imposte ed alla regolare destinazione dei beni aziendali alle attività sociali, non sussiste invece né potrebbe altrimenti prevedersi se non in violazione del principio di tassatività della norma penale, una previsione che impone all’amministratore delle persone giuridiche dì vigilare sulla regolare osservanza di qualsiasi norma penale da parte dei soggetti comunque coinvolti nelle attività sociali“.
La responsabilità dell’amministratore di diritto per le condotte poste in essere dai gestori di fatto, pertanto, può essere affermata solo in applicazione dei criteri generali sul dolo nel concorso di persone ex art. 110 C.P.