La distinzione tra il reato di maltrattamenti e le liti familiari – il “piano inclinato” della violenza

Articolato intervento della Sesta Sezione della Cassazione che con la sentenza 37978 depositata il 15.09.2023 chiarisce, anche al fine di evitare fenomeni di vittimizzazione secondaria, la differenza sostanziale tra le ipotesi di violenza domestica e la lite in famiglia.

La decisione in commento ha riformato, su ricorso della parte civile, la sentenza della Corte di Appello di Napoli che aveva assolto l’imputato sostenendo che gli schiaffi e i pugni alla convivente, incinta, le minacce e gli insulti, erano il risultato di una relazione turbolenta frutto della gelosia di lei. E dunque andavano esclusi i maltrattamenti anche per l’assenza di una “sistematica sopraffazione”.

In realtà, chiariscono i giudici di legittimità, il reato in esame non richiede una sistematica sopraffazione, ma è consumato allorché siano compiuti, anche in un limitato contesto temporale e nonostante periodi pacifici, vista la ciclicità che contraddistingue questo delitto, più atti di natura vessatoria finalizzati a determinare sofferenze fisiche o morali della vittima (cfr Sez. Un. 10959 del 3.02.2016).

Ciò che qualifica la condotta come maltrattante, in quadro di insieme e non parcellizzato, è che i reiterati comportamenti, anche solo minacciati, operanti a diversi livelli (fisico, sessuale, psicologico o economico) nell’ambito di una relazione affettiva, siano volti a ledere la dignità della persona offesa, ad annientarne pensieri ed azioni indipendenti, a limitarne la sfera di libertà ed autodeterminazione, a ferirne l’identità di genere con violenze psicologiche ed umiliazioni, <<in quanto il disegno discriminatorio che guida gli autori di violenza contro le donne è costituito dal deliberato intento di possesso, dominazione e controllo della libertà femminile per impedirla>>.

Secondo la Cassazione, occorre quindi evitare la confusione tra il delitto di cui all’art. 572 C.P. e le ordinarie “liti”, confusione che avviene quando non è presa in considerazione l’aspetto di <<asimmetria, di potere e di genere, che esiste nel contesto di coppia o familiare oggetto di esame, ritenendola un dato neutro. E’ quanto avvenuto nella specie allorché la denigrazione della donna, la sua pubblica mortificazione con ingiurie gravi, le aggressioni subite con pugni e calci, la limitazione della sua libertà nell’avanzare richiesta di chiarimenti al proprio compagno sono state normalizzate a mero conflitto tra pari>>.

Sotto questo aspetto deve distinguersi il delitto di maltrattamenti dalle liti familiari: si consuma il primo quando un soggetto impedisce ad un altro, in modo reiterato, persino di esprimere un proprio autonomo punto di vista se non con la sanzione della violenza o dell’offesa; mentre ricorrono le seconde quando le parti sono in posizione paritaria e si confrontano, anche con veemenza, su un piano di riconoscimento e di accettazione reciproca del diritto di ciascuno di esprimere il proprio punto di vista.

La Corte, in maniera apprezzabile, indica poi alcuni criteri utili per cogliere la differenza tra maltrattamenti e liti familiari: <<che vi sia o meno l’ascolto del giudizio e della volontà altrui; che la relazione sia consapevolmente e strutturalmente sbilanciata a favore di uno solo dei due in ragione dell’identità sessuale; che emerga o no un divario di potere fondato su costrutti sociali o culturali connessi ai ruoli di genere tali da creare modelli comportamentali fissi e costanti di prevaricazione; che una parte approfitti di specifiche condizioni soggettive (età, gravidanza, problemi di salute, disabilità) per esercitare anche un controllo coercitivo; che si ripeta o meno, con modalità prestabilite e prevedibili, la soccombenza sempre dello stesso soggetto attraverso offese e umiliazioni o limitazioni della sua libertà personale o di esprimere un proprio autonomo punto di vista; che la sensazione di paura per l’incolumità o di rischio o di controllo riguardi sempre o solo uno dei due anche utilizzando forme ricattatorie o manipolatorie rispetto ai diritti sui figli minorenni della coppia>>.

In altri termini, sostiene il Collegio, <<la violenza avviene sempre e solo su un piano inclinato a favore dell’autore e gli esiti sono sempre unidirezionati a vantaggio di questi; mentre la conflittualità di coppia si sviluppa su un piano paritario, in cui i protagonisti si riconoscono reciprocamente come soggetti autonomi, dotati di dignità e libertà, e gli esiti del contrasto sono alterni, non prevedibili e tali da non ingenerare mai paura dell’altro>>.