Istigazione alla violenza per motivi razziali su Facebook – Confini del reato

Nella sentenza 9656 depositata il 7.03.2023 la Prima Sezione della Cassazione evidenzia gli elementi che distinguono il reato p. e p. all’art. 604 bis lett. b) C.P. rispetto all’esternazione su Facebook di pensieri e opinioni di contenuto discriminatorio opinabili, ma talora non punibili.

Il giudizio di merito

La Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva assolto perché il fatto non sussiste l’imputata da alcuni fatti di incitamento e provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici e religiosi in relazione a scritti pubblicati sul social network ed ha rideterminato la pena in mesi sette di reclusione, con conferma nel resto.
In particolare, la condanna è stata pronunciata in relazione ai seguenti messaggi diffusi dall’imputata (docente di scuola superiore segnalata dai suoi studenti) tramite il suo profilo sulla piattaforma social Facebook: il 15 luglio 2016: “Musulmani tutti delinquenti, vanno estirpati alla radice”; il 22 luglio 2016: “Ah, poi ho torto quando dico che bisogna eliminare anche i bambini dei musulmani, tanto sono tutti futuri delinquenti”; il 9 agosto 2016: “Se lo stato non interviene dobbiamo farci giustizia da soli. Bravo il cittadino di P “, a commento di una notizia giornalistica relativa alla morte di un cittadino musulmano picchiato da un condomino dallo stesso aggredito.

La decisione della Corte

Pur nella sua laconicità, con la sentenza in commento la Cassazione ha respinto il ricorso e confermato la pronuncia di condanna evidenziando come il confine tra l’istigazione alla violenza e le mere manifestazioni di pensiero che, vuoi per il contesto vuoi per il contenuto, si limitano a esternare una posizione pseudoculturale, per quanto non condivisa dal comune sentire, è riscontrabile in quelle espressioni dirette a persuadere e muovere all’azione l’ascoltatore.

Invero, “la nozione di istigazione idonea ad integrare l’ipotesi di cui all’art. 604 bis lett. b) C.P. fa riferimento ad un’una manifestazione di pensiero volta a convincere l’ascoltatore e a indurlo ad un’azione“.

Pertanto, la valutazione del Giudice sulle esternazioni, inerenti a motivi razziali, etnici o religiosi, che abbiano uno specifico riferimento ad atti di violenza, deve verificare se dette esternazioni abbiano o meno capacità di istigazione alla violenza.

Nel caso di specie, la sentenza di appello ha correttamente motivato il giudizio, secondo il quale le tre esternazioni di cui trattasi avevano effettivamente il carattere di istigazione alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi, sul rilievo del contenuto di esse, che, tramite “forme verbali esortative, impersonali o comunque plurali“, esprime un esplicito riferimento alla necessità di compiere atti di violenza motivata dalla religione di coloro che dovrebbero essere vittime, della pubblicità dell’esternazione, e dell’autorevolezza, in ragione del ruolo di insegnante, di colui che invia il messaggio.