Peculato: esclusa la qualifica di incaricato di pubblico servizio per gli operatori ecologici

Con la sentenza n. 1958/2023 (dep. 18.01.2023) la Sesta Sezione della Corte di Cassazione esclude che possano essere considerati incaricati di pubblico servizio i dipendenti operai di una società concessionaria del servizio pubblico comunale della raccolta di rifiuti.

Il Tribunale del Riesame di Bari aveva ritenuto corretta la configurabilità del reato di peculato in relazione alla condotta di due operatori ecologici dipendenti di una concessionaria del servizio pubblico comunale della raccolta di rifiuti che, in ragione del loro servizio, si sarebbero appropriati del carburante prelevato dal serbatoio dell’autocarro della società di cui avevano il possesso.

La Cassazione ha accolto il ricorso degli imputati sul presupposto dell’insussistenza della qualificazione soggettiva necessaria per la configurabilità del reato di peculato.

Come noto, l’art. 358 C.P. stabilisce che «Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di questa ultima, e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale».

La giurisprudenza ha chiarito come debba escludersi la configurabilità della posizione penalistica dell’incaricato di pubblico servizio laddove l’agente sia assegnatario di mere mansioni d’ordine ovvero presti un’opera meramente materiale, dovendosi qualificare tali quelle attività che siano caratterizzate dalla mancanza di poteri decisionali ovvero dall’assenza di qualsivoglia margine di discrezionalità, e che, perciò, si esauriscono nello svolgimento di compiti semplici solamente materiali o di pura esecuzione (cfr. Sez. U, n. 7958 del 27/03/1992).

Il pubblico servizio, infatti, è attività di carattere intellettivo, caratterizzata, quanto al contenuto, dalla mancanza dei poteri autoritativi e certificativi propri della pubblica funzione, con la quale è solo in rapporto di accessorietà o complementarietà (cfr. Sez. 6 n. 6749/2014; Sez. 6 n. 7593/2015)

In tale contesto, mentre la sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio è stata riconosciuta nei riguardi di quei soggetti che, operando tanto nell’ambito di enti pubblici quanto di enti di diritto privato, siano risultati titolari di funzioni di rilevanza pubblicistica caratterizzate dall’esercizio del potere di adottare in autonomia provvedimenti conformativi dei comportamenti dei destinatari del servizio, con i quali l’agente instaura una relazione diretta (ad esempio, gli infermieri di una struttura ospedaliera privata, anche non accreditata – cfr. Sez. 6 n. 3932/2022), quella qualifica è stata negata in relazione alla posizione di quei soggetti che, privi di mansioni propriamente intellettive, nel contesto di quelle strutture siano chiamati a compiere generiche attività materiali in esecuzione di ordini di servizio ovvero di prescrizioni impartite dai superiori gerarchici (cfr. Sez. 5 n. 3901/2001, sempre in tema di operatori ecologici).

Nel caso in esame risulta che i due imputati erano assunti presso la società rispettivamente in qualità di operaio di operaio per raccolta dei rifiuti e di conducente di mezzi per il trasporto e la movimentazione dei rifiuti, per le quali il Contratto collettivo nazionale di lavoro delle aziende private operanti nel settore igiene-ambientale, vigente dal 10 marzo 2021, prevedeva espressamente l’assegnazione di mere “mansioni esecutive” ovvero di compiti materiali richiedenti “l’applicazione di procedure e metodi operativi prestabiliti e specifiche conoscenze teorico-pratiche (…) con autonomia operativa limitata ad istruzioni generali non necessariamente dettagliate”.

Il venire meno della qualifica soggettiva di incaricati di pubblico servizio ha determinato pertanto l’inconfigurabilità del reato previsto dall’art. 314 C.P. con conseguente annullamento senza rinvio sia della decisione del Riesame che dell’ordinanza genetica emessa dal GIP.