Giustizia riparativa inaccessibile per i reati “senza vittime”
Segnaliamo la decisione della Corte d’Appello di Milano che con ordinanza del 13.07.2023 ha rigettato l’istanza di ammissione a un programma di giustizia riparativa, presentata da un imputato per il reato di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90.
La Corte ha motivato il diniego all’invio a un centro di giustizia riparativa sul presupposto che il reato di spaccio di sostanze stupefacenti è “un reato privo di vittima”.
L’ordinanza mette in luce le problematicità dei programmi di giustizia riparativa, la cui introduzione nel nostro ordinamento penale rappresenta una delle più significative novità della riforma del processo in vigore da inizio anno, come delineati dal decreto legislativo 150/22, e che sembrerebbero rivolgersi solo agli autori di reati che prevedono l’esistenza di una vittima.
L’articolo 53 del predetto decreto, infatti, prevede che i programmi di giustizia riparativa, nel dettaglio, comprendano: a) la mediazione tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima del reato, anche estesa ai gruppi parentali, oppure tra la persona indicata come autore dell’offesa e la vittima di un reato diverso da quello per cui si procede; b) il dialogo riparativo; c) ogni altro programma dialogico guidato da mediatori, svolto nell’interesse della vittima del reato e della persona indicata come autore dell’offesa.
Tali caratteristiche, afferma la Corte d’appello, porterebbero a ritenere che un reato privo di vittima, come quello disciplinato dall’articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti, debba essere escluso “ontologicamente” dal perimetro di applicazione della giustizia riparativa.
Preme osservare tuttavia che la medesima riforma del processo penale , quanto a identificazione dei soggetti che ai programmi possono accedere, oltre all’autore del reato e alla vittima, apre a «chiunque vi abbia interesse», rendendo in ipotesi possibile, quanto a reati con vittime diffuse, la partecipazione di associazioni rappresentative delle vittime stesse.