Équipe medica: il dissenso sull’operato del collega esclude la cooperazione colposa
Nella sentenza n. 16094 depositata il 17.04.2023, la Quarta Sezione della Corte di Cassazione chiarisce che nei casi di responsabilità medica la cooperazione colposa nella morte di un paziente può essere scriminata dal dissenso manifestato dal dottore compartecipe dell’équipe sull’operato degli altri componenti e dal suo comportamento attivo che in ipotesi avrebbe potuto evitare l’evento dannoso.
Nel caso di specie la Corte ha annullato con rinvio per vizio di motivazione la sentenza di merito che, a seguito di riforma in appello, aveva riconosciuto la responsabilità dei due medici Tizio e Caia, intervenuti in momenti diversi sulla paziente poi deceduta, per aver colposamente ritardato di almeno 9 giorni (dal 16 al 24 giugno 2010) l’intervento e la risoluzione chirurgica di una peritonite verificatasi in seguito ad intervento operatorio delle settimane precedenti (laparoscopia programmata per riduzione di ernia post chirurgica addominale).
Il giudizio di merito
La ricorrente Tizia non aveva partecipato al precedente intervento in laparoscopia, ma aveva visitato la paziente la sera del 18 giugno allorquando era stata chiamata per una consulenza chirurgica dai colleghi dell’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica. Nell’occasione il medico si accorgeva di una situazione addominale critica e, eseguiti i primi esami (Angio TAC) e disposto il trasferimento in Chirurgia, avvertiva telefonicamente Caio (il quale aveva eseguito l’intervento precedente) sulla necessità di una rivalutazione chirurgica del caso (venendo dallo stesso rassicurata che avrebbe visitato la paziente il mattino successivo, cosa che avvenne).
Nei giorni successivi, nonostante la diagnosi di peritonite localizzata, la paziente veniva canalizzata e Tizio rinviava l’intervento.
La TAC e la prima puntura esplorativa venivano effettuate soltanto il 24 giugno dando evidenza della perforazione intestinale sicché veniva disposto il secondo intervento chirurgico al quale seguiva purtroppo l’aggravamento delle condizioni cliniche della paziente già compromesse dal grave stato settico, cui seguiva il 5 luglio il decesso.
Secondo i giudici di merito il decesso della paziente era ascrivibile ad un ritardo nella effettuazione del secondo intervento chirurgico da parte di entrambi i medici
La decisione della Corte
La censura della ricorrente aveva ad oggetto il rapporto di causalità tra la condotta ascrivibile a Tizia e l’evento morte considerato il momento ed il ruolo assunto dalla medesima nella vicenda.
Nella prospettiva accusatoria, come visto, il contributo colposo di Tizia si sarebbe concretizzato nel lasso temporale dal 18 al 24 giugno e in particolare nel non aver assunto la decisione di intervenire chirurgicamente sulla paziente dopo la prima Angio-Tac dalla quale era risultata la peritonite in atto.
Tuttavia risulta che i giudici di merito danno atto in più punti della sentenza del dissenso manifestato dall’imputata al collega in ordine ad una scelta terapeutica che determinava il rinvio dell’intervento e che evidentemente non era condivisa.
Tale passaggio argomentativo, secondo la Corte di Cassazione, caratterizza la illogicità e la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.
Invero, nell’ambito dell’attività medica e della cd. responsabilità di équipe (cui viene assimilata anche la situazione di più medici che si sono occupati in successione dello stesso paziente) il principio di affidamento consente di confinare l’obbligo di diligenza del singolo sanitario entro limiti compatibili con l’esigenza del carattere personale della responsabilità penale.
Il riconoscimento della responsabilità per l’eventuale errore altrui non è illimitato e impone, per essere affermato, non solo l’accertamento della valenza concausale del concreto comportamento attivo o omissivo tenuto rispetto al verificarsi dell’evento, ma anche la rimproverabilità di tale comportamento sul piano soggettivo secondo i principi in tema di colpa.
La Cassazione, con specifico riferimento all’attività medico sanitaria svolta in équipe, ha chiarito che la cooperazione colposa multidisciplinare richiede che l’accertamento del nesso causale sia compiuto con riguardo alla condotta e al ruolo di ciascuno, non potendosi configurare aprioristicamente una responsabilità di gruppo, in particolare quando i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti tra loro, non potendosi trasformare l’onere di vigilanza in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione degli spazi di competenza altrui (cfr. Sez. 4, n. 49774 del 21.11.2019).
Dal dover di diligenza per i componenti dell’équipe discende l’obbligo di controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali, ma tale obbligo non opera rispetto a quelle fasi dell’intervento nelle quali i ruoli e i compiti di ciascun operatore sono nettamente distinti.
L’onere di vigilanza infatti non può trasformarsi in un obbligo generalizzato di costante raccomandazione al rispetto delle regole cautelari e di invasione negli spazi di competenza altrui.
Ai fini dell’esonero da responsabilità assume quindi rilievo il dissenso manifestato dei soggetti coinvolti nell’attività medica di équipe.
Sotto tale aspetto si esclude che possa invocare l’esimente il chirurgo che si sia fidato acriticamente della scelta del collega più anziano, pur essendo in possesso delle cognizioni tecniche per coglierne l’erroneità, ed avendo pertanto il dovere di valutarla e, se del caso, contrastarla (cfr. Sez. 4, n. 39727 del 12.06.2019).
Parimenti, il secondo operatore dell’équipe chirurgica che non condivide le scelte del primario nel corso dell’intervento operatorio per esimersi da responsabilità deve manifestare espressamente il proprio dissenso, senza che tuttavia siano necessarie forme particolari di esternazione dello stesso (cfr. Sez. 3, n. 43828 del 29.09.2015).