La definizione di “luogo di lavoro” rilevante in materia anti-infortunistica – la Cassazione penale e gli approfondimenti richiesti dalla “motivazione rafforzata” in appello.

Segnaliamo la pronuncia n. 42024 depositata l’8.11.2022 dalla Quarta Sezione della Cassazione Penale che affronta la nozione di “luogo di lavoro” in un caso di infortunio mortale e il tema centrale della condotta del lavoratore vittima dell’infortunio in relazione alle effettive situazioni di rischio.

Il fatto

Il 4 dicembre 2015 si era verificato un infortunio mortale sul lavoro all’interno di una fonderia. La vittima, da venti anni alle dipendenze dell’azienda, addetto al reparto “anime” della fonderia, si trovava in servizio dalle 20.30 e dopo un’ora circa constatava che il macchinario emetteva un fischio. Poiché il prodotto che usciva non presentava problemi, il lavoratore non avvertiva gli addetti alla manutenzione, presenti anche durante il turno di notte, tuttavia, forse per controllare la causa del rumore, si avviava verso la zona pericolosa, nella parte alta del complesso meccanismo, senza avvertire il collega di turno, il quale dopo un po’ sentiva un urlo e trovava il malcapitato morto, schiacciato dalle colonne in acciaio e dalle traverse meccaniche del movimento verticale del macchinario.

Il giudizio di merito e il ricorso

Nel giudizio di merito, la Corte di Appello di Torino, in riforma integrale della sentenza, appellata dal PM, con il GUP del Tribunale di Asti aveva assolto gli imputati (in sede di abbreviato condizionato) per il reato di omicidio colposo con violazione della disciplina antinfortunistica (infortunio mortale all’interno di una fonderia), ha invece riconosciuto, a seguito di rinnovazione istruttoria, la responsabilità degli stessi (il datore di lavoro e il responsabile della sicurezza) con conseguente condanna alla pena di giustizia e il risarcimento del sindacato costituito parte civile (i congiunti della vittima erano stati risarciti).

Il ricorso della difesa per entrambi gli imputati denunciava violazione di legge, travisamento della prova e vizio di motivazione in relazione alle seguenti circostanze: 1) non era stato chiarito se sul macchinario dove era avvenuto l’infortunio era stata apposta o meno dal datore di lavoro la scala utilizzata dalla vittima e che avrebbe introdotto un rischio nuovo 2) il punto ove si era verificato il fatto non era una zona di lavoro, in quanto di disagevole accessibilità e comunque non necessaria per i dipendenti; 3) le condizioni effettive del luogo ove era avvenuto l’incidente, stante la difficile accessibilità, avrebbe costituito un “dispositivo ostacolante”, un vero e proprio presidio di sicurezza conforme alla previsione di legge; 4) il comportamento del lavoratore sarebbe stato tale rappresentare causa esclusiva dell’infortunio.

La decisione della Cassazione

La Corte ha rigettato i motivi 2) e 4) ed accolto i motivi 1) e 3) con rinvio per il nuovo giudizio.

E’ interessante rilevare in questa sede i temi affrontati dalla Cassazione.

In particolare, nel rigettare il motivo 2) viene ribadito che nella nozione di “luogo di lavoro” rilevante ai fini dell’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, rientra ogni luogo in cui venga svolta e gestita una qualsiasi attività implicante prestazioni di lavoro, indipendentemente dalle finalità della struttura in cui essa si esplichi e dell’accesso da parte di terzi estranei all’attività lavorativa (Sez. 4 n. 12223 del 3.02.2015 dep. 2016; Sez. Fer., n. 45316 del 27.08.2019).

Anche il motivo 4) sulla pretesa abnormità del comportamento del lavoratore è stato rigettato: il processo di merito ha ricostruito che la vittima si sarebbe attivata, salendo ed introducendosi in una zona pericolosa, nell’intenzione di individuare l’origine di un rumore anomalo che emetteva il macchinario. Tale condotta esclude di per sé l’esorbitanza dell’azione rispetto alle mansioni del lavoratore.

La Cassazione annulla invece la pronuncia della Corte di Appello in ragione della assenza della prescritta “motivazione rafforzata” nella sentenza che, in riforma dell’integrale assoluzione, aveva affermato la penale responsabilità dei ricorrenti.

Ed infatti, a seguito della rinnovazione istruttoria, gli argomenti richiamati nei motivi 1) e 3) avrebbero dovuto rispettare l’obbligo di una motivazione dotata di una “forza persuasiva superiore” a quella della sentenza riformata ed attuata mediante una attenzione valutativa e di una prudenza deliberativa “maggiorata” nella disamina di quel dato istituto sostanziale o processuale, ovvero di quel determinato aspetto della vicenda giuridica, tale da far venire meno ogni ragionevole dubbio (cfr. Sez. 6, n. 51898 del 11.07.2019).

Nel caso di specie sono rimasti contraddittori due aspetti rilevati esattamente dalla difesa dei ricorrenti: stante l’esistenza di una situazione di oggettivo ostacolo non in grado di impedire in assoluto l’accesso alla zona pericolosa da parte del lavoratore, la sentenza non ha approfondito in maniera precisa se vi fosse o meno un espresso divieto di accesso a quella zona, se fosse certa o meno l’apposizione della scala esternamente al macchinario (quale elemento di rischio) da parte del datore di lavoro piuttosto che dalla ditta costruttrice, e infine se fosse o meno possibile tecnicamente prevedere un meccanismo di blocco automatico, non presente, all’avvicinarsi di una persona alla zona di maggior rischio del macchinario collocato nella fonderia.

Tali circostanze dovranno essere oggetto, secondo la Cassazione, dell’approfondimento istruttorio da parte dei giudici di rinvio che sia suscettibile di fornire esiti decisivi nel senso della riforma o della conferma della decisione di primo grado.