Decreto Legge “Caivano”: le disposizioni in materia penale
Numerose le novità di rilievo penale introdotte dalla Legge 159 del 13.11.2023 di conversione del D.L. Caivano 123/2023 “recante misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale“.
Concentrandosi sui provvedimenti di rilievo strettamente penale, la prima disposizione da prendere in considerazione è l’art. 3 del citato D.L., rubricato “Disposizioni in materia di misure di prevenzione a tutela della sicurezza pubblica e della sicurezza delle città”, che nel testo originariamente predisposto dal Governo risulta composto da due commi.
Daspo Urbano per i maggiori di anni 14
Il primo comma inserisce alcune modifiche al D.L. 14/2017, conv. con modif. L. 48/2017 (“Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città” c.d. decreto Minniti) che ha introdotto l’istituto del divieto di accesso alle aree urbane (DACUR, conosciuto anche come “DASPO urbano”) a fini di tutela del decoro e della sicurezza della città. In particolare è stato stabilito che:
- il divieto di accesso a luoghi determinati ex art. 10 d.l. 14/2017 viene reso applicabile anche ai minori ultraquattordicenni, mentre viene eliminata la procedura di convalida giudiziale per la misura “aggravata” ai sensi dell’art. 10 c. 3, prima disciplinata mediante rinvio all’art. 6 cc. 2-bis, 3 e 4 l. 401/1989; la legge di conversione dispone inoltre la comunicazione del provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni competente per il luogo di residenza del minore;
- il divieto di accesso a scuole, plessi scolastici, sedi universitarie, locali pubblici o aperti al pubblico di cui all’art. 13 c. 1 diviene applicabile in caso di denuncia o condanna anche non definitiva, intervenuta nei tre anni precedenti, per uno qualsiasi dei delitti di cui all’art. 73 T.U. stupefacenti e non più solo in relazione alle condotte di vendita o cessione di sostanze stupefacenti o psicotrope (con la precisazione che, mentre il testo originario del d.l. faceva richiamo al “delitto” di cui al citato art. 73, l’uso dell’espressione “delitti” al plurale è un effetto della conversione in legge); il divieto di accesso viene inoltre esteso a tutti i luoghi contemplati dalla norma, in maniera indifferenziata;
- le ulteriori misure preventive di cui all’art. 13 c. 3 (obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia, obbligo di rientrare nella propria abitazione o altro luogo di privata dimora entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata, divieto di allontanarsi dal comune di residenza, obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici) divengono applicabili in tutti i casi di cui all’art. 13 c. 1 in presenza di “specifiche ragioni di pericolosità”, non richiedendosi più l’intervento di una sentenza di condanna definitiva;
- la pena prevista per la violazione delle misure di cui all’art. 13 cc. 1 e 3, disciplinata dal successivo c. 6, viene inasprita mediante la previsione della reclusione da uno a tre anni e la multa da 10.000 a 24.000 euro in luogo della precedente cornice edittale (reclusione da sei mesi a due anni e multa da 8.000 a 20.000 euro);
- la legge di conversione incide altresì sul testo dell’art. 13 c. 7, che, per i casi di condanna per uno dei delitti ex art. 73 T.U. stupefacenti commessi all’interno o nelle immediate vicinanze di locali pubblici o aperti al pubblico, stabilisce che la sospensione condizionale della pena possa essere subordinata al divieto di accedere in locali pubblici o pubblici esercizi specificamente individuati: tale previsione assume infatti carattere obbligatorio, venendo meno il margine di discrezionalità finora attribuito al giudice;
- modifiche interessano anche l’art. 13-bis, che disciplina misure in materia di prevenzione di disordini e violenze negli esercizi pubblici e nei locali di pubblico trattenimento (noto alle cronache come “daspo Willy”): da un lato, tra i reati presupposto vengono inclusi anche i reati di porto di armi od oggetti atti ad offendere ex art. 4 l. 110/1975 e di resistenza e minaccia a pubblico ufficiale ex artt. 336 e 337 c.p.; dall’altro, i presupposti per l’applicazione delle misure, originariamente riferiti ai soli casi di condanna, anche non definitiva, o di arresto o fermo, sono estesi alla sottoposizione alle misure cautelari degli arresti domiciliari o della custodia cautelare in carcere. Viene inoltre estesa la durata del divieto (ora compresa tra uno e tre anni) e stabilita una durata massima per l’eventuale prescrizione dell’obbligo di presentazione presso gli uffici di polizia disposto dal Questore (due anni);
- le pene previste dall’art. 13-bis c. 6 in caso di violazione delle misure di cui ai commi precedenti del medesimo articolo sono a loro volta inasprite (reclusione da uno a tre anni e multa da 10.000 a 24.000 euro, in luogo della reclusione da sei mesi a due anni e con multa da 8.000 a 20.000 euro).
Foglio di via obbligatorio
Il secondo comma dell’art. 3, invece, innova la disciplina dello strumento del foglio di via obbligatorio di cui all’art. 2 D.Lvo 159/2011 (c.d. Codice Antimafia). La struttura della norma viene integralmente ridelineata, precisando i presupposti applicativi della misura disposta dal Questore (presenza di un soggetto pericoloso ai sensi dell’art. 1 cod. antimafia in un comune diverso dai luoghi di residenza o di dimora abituale) e definendone maggiormente il contenuto (si introduce un termine massimo di 48 ore entro il quale il destinatario della misura deve lasciare il territorio comunale; ai destinatari della misura viene inibito di rientrare, senza preventiva autorizzazione, nel comune dal quale sono stati allontanati per un termine non inferiore a sei mesi e non superiore a 4 anni; viene reso autonomamente operante il divieto di ritorno anche nei casi in cui, al momento della notifica, il soggetto abbia già abbandonato il territorio comunale).
Viene inoltre aggravata la sanzione penale prevista dall’art. 76 comma 3 in caso di violazione della misura di prevenzione in oggetto (fissata nella reclusione da sei a diciotto mesi e nella multa fino a 10.000 euro), eliminando al contempo l’obbligo di traduzione del condannato al luogo del rimpatrio al termine dell’esecuzione della pena.
Armi e Droga
L’art. 4 del D.L. in esame, rubricato “Disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti”, è interessato da vaste modifiche a opera della legge di conversione, che agli iniziali tre commi presenti nella disposizione ne aggiunge altri sette (cc. 1-bis, da 2-bis a 2-sexies, 3-bis).
La norma, nella sua versione originaria, interviene su tre diversi fronti:
- innalza i limiti edittali di pena detentiva previsti per le contravvenzioni in materia di porto di armi od oggetti atti ad offendere di cui all’art. 4 l. 18 aprile 1975, n. 110, commi 3, 4 e 5;
- aumenta (da tre a quattro anni) il massimo edittale di pena detentiva previsto per la fattispecie circostanziale di porto abusivo di armi di cui non è ammessa licenza ex art. 699 comma 2 C.P.;
- aggrava la pena detentiva prevista per il delitto di cui all’art. 73 c. 5 T.U. stupefacenti, ora punibile con la reclusione “da sei mesi a cinque anni” e non più “da sei mesi a quattro anni”: trattasi di modifica di per sé suscettibile di produrre rilevanti effetti sul piano del procedimento penale, rendendo applicabile anche ai fatti di reato di lieve entità in materia di stupefacenti la misura della custodia cautelare in carcere ai sensi dell’art. 280 C.P.P., e determinando l’esclusione del delitto in questione dal campo di operatività della citazione diretta a giudizio ai sensi dell’art. 550 C.P.P., così rendendo necessaria l’udienza preliminare.
Tale impianto viene ulteriormente innovato dalla legge di conversione, che introduce significative novità:
- anzitutto, l’attuale comma 2 del richiamato art. 699 C.P. è abrogato, per far confluire la fattispecie di “Porto di armi per cui non è ammessa licenza” in un nuovo art. 4-bis della citata l. 18 aprile 1975, n. 110, così sostituendo l’originale contravvenzione con un autonomo delitto, punito con la reclusione da uno a tre anni (con la previsione, peraltro, di alcune circostanze aggravanti a effetto speciale all’interno del c. 2). Si prevedono inoltre modifiche degli artt. 381 c. 2 cod. proc. pen. e 71 cod. antimafia, per estendere alla nuova figura delittuosa la misura dell’arresto facoltativo in flagranza e la circostanza aggravante applicabile “se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione”;
- in secondo luogo, all’interno del codice penale, nell’ambito dei “Delitti contro l’ordine pubblico”, è inserito un nuovo art. 421-bis, rubricato “Pubblica intimidazione con uso di armi”, volto a punire con la reclusione da tre a otto anni, quando il fatto non costituisca più grave reato, “chiunque, al fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti”: il delitto, volto a punire un fenomeno noto in ambito criminale come “stesa”, sostanzialmente riproduce la figura già punita (con la reclusione da uno a otto anni) dall’art. 6 l. 2 ottobre 1967, n. 895, che contestualmente viene abrogato. I soggetti condannati per tale reato vengono inoltre inclusi tra i possibili destinatari delle misure di prevenzione ai sensi dell’art. 4 c. 1 D.Lvo 159/2011;
- da ultimo, è inserito un secondo periodo all’interno dell’art. 73 comma 5 T.U. stupefacenti, a mente del quale “Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità”; si prevede inoltre la rimozione dell’attuale esclusione del reato di cui al citato art. 73 c. 5 dal campo di applicazione della confisca in casi particolari ex art. 240-bis cod. pen., che pertanto, ai sensi dell’art. 85-bis t.u. stup., viene estesa anche a tali ipotesi.
Avviso orale e stop ai cellulari per i minori ultraquattordicenni
L’art. 5 reca “Disposizioni in materia di prevenzione della violenza giovanile”, espressamente volte a contrastare il fenomeno delle c.d. baby gang, come si legge nella relazione tecnica. Tale obiettivo viene perseguito estendendo ai minorenni l’applicazione della misura di prevenzione personale dell’avviso orale di cui all’art. 3 D.Lvo 159/2011 nonché della procedura di ammonimento del questore disciplinata dall’art. 8 cc. 1-2 d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv., con modif. in l. 23 aprile 2009, n. 38 (applicabile nei confronti del presunto autore di atti persecutori).
Più nel dettaglio, il nuovo c. 3-bis del citato art. 3 cod. antimafia prevede che l’avviso orale possa essere rivolto anche ai minori ultraquattordicenni, a seguito di convocazione del minore, da parte del questore, unitamente ad almeno un genitore o altro esercente la responsabilità genitoriale; il questore potrà imporre al minore anche le ulteriori prescrizioni di cui al c. 4 del medesimo articolo. Gli effetti dell’avviso orale sono comunque destinati a cessare al momento del raggiungimento della maggiore età da parte del destinatario. Rispetto a tale misura, la legge di conversione si limita a formulare due precisazioni, disponendo la comunicazione del provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore e chiarendo la sua opponibilità, in caso di destinatario minorenne, davanti al tribunale per i minorenni.
A mente del nuovo c. 6-bis, poi, il destinatario di avviso orale – tanto maggiorenne quanto minorenne – che risulti condannato, anche in via non definitiva, per uno o più delitti contro la persona, contro il patrimonio ovvero in materia di armi o sostanze stupefacenti potrà essere sottoposto, per un massimo di due anni, al divieto di utilizzare, in tutto o in parte, piattaforme o servizi informatici e telematici specificamente indicati, nonché di possedere o di utilizzare telefoni cellulari o altri dispositivi di comunicazione quando l’uso di tali strumenti sia servito per la realizzazione delle condotte che hanno determinato l’applicazione della misura di prevenzione, previa indicazione di modalità applicative compatibili con le sue esigenze di salute, famiglia, lavoro o studio. La violazione di tale divieto viene peraltro inclusa tra i presupposti del reato di cui all’art. 76 c. 2 del medesimo cod. antimafia.
La procedura di ammonimento può invece essere disposta, ai sensi del comma 2 dell’articolo in esame, nei confronti del minore ultraquattordicenne “fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno dei reati di cui agli articoli 581, 582, 610, 612 e 635 del codice penale”, nonché, ai sensi del comma 5, nei confronti del minore di età compresa tra i dodici e i quattordici anni – non imputabile ai fini penali – quando il fatto da lui commesso sia previsto dalla legge come delitto punito con la reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Solo in questo secondo caso, come precisato dalla legge di conversione, a carico del soggetto che era tenuto alla sorveglianza del minore o all’assolvimento degli obblighi educativi nei suoi confronti viene prevista, a mente del successivo comma 8, l’applicazione da parte del Prefetto di una sanzione amministrativa pecuniaria da 200 euro a 1.000 euro, salvo che questi provi di non aver potuto impedire il fatto. In entrambi i casi, la misura viene disposta dal questore convocando il minore, unitamente ad almeno un genitore o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale, e cessa comunque i suoi effetti con il compimento della maggiore età da parte del destinatario; anche per tale ipotesi la legge di conversione stabilisce in via ulteriore la comunicazione del provvedimento in questione al Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni del luogo di residenza del minore.
Processo minorile, misure cautelari e messa alla prova
Gli articoli 6 (rubricato “Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori”) e 8 (in materia di “custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore”) del decreto-legge in esame intervengono, invece, sulla disciplina del processo penale a carico di imputati minorenni. Le principali novità introdotte nel testo del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 (codice del processo penale minorile) fin dallo scorso 16 settembre riguardano:
- l’ampiamento dei presupposti di applicazione della misura precautelare dell’accompagnamento a seguito di flagranza (con successivo trattenimento del minore fino a dodici ore), ora possibile in relazione ai delitti non colposi per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni (in luogo dei precedenti cinque anni) e per alcuni reati specificamente indicati (lesione personale, furto, danneggiamento aggravato, alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti, porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere; si anticipa che la legge di conversione ha peraltro omesso di aggiornare la disposizione con il rinvio al nuovo art. 4-bis l. 110/1975, di cui si è trattato sopra);
- l’abbassamento a quattro anni (in luogo dei precedenti cinque) del limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto ai sensi dell’art. 19 c. 4 per l’applicazione al minore di misure cautelari personali diverse dalla custodia cautelare;
- l’abbassamento a sei anni (in luogo dei precedenti nove) del limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto dall’art. 23 per l’applicazione al minore della custodia cautelare, che diviene altresì applicabile, senza limiti, per taluni reati specificamente individuati; viene poi diminuita la misura della riduzione dei termini di durata massima previsti dall’art. 303 cod. proc. pen., fissata rispettivamente a un terzo (in luogo della metà) per i reati commessi da minori degli anni diciotto e alla metà (in luogo dei due terzi) per quelli commessi da minori degli anni sedici;
- l’inclusione tra le ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 23 c. 2, il giudice può disporre la custodia cautelare nei confronti del minorenne dei casi in cui “l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che si dia alla fuga” (nuova lett. a-bis);
- l’introduzione di un nuovo art. 27-bis volto a regolare un particolare “Percorso di rieducazione del minore”, ossia una nuova forma di definizione anticipata del procedimento penale, avviata su iniziativa del pubblico ministero e subordinata “alla condizione che il minore acceda a un percorso di reinserimento e rieducazione civica e sociale sulla base di un programma rieducativo che preveda, sentiti i servizi minorili di cui all’articolo 6 e compatibilmente con la legislazione sul lavoro minorile, lo svolgimento di lavori socialmente utili o la collaborazione a titolo gratuito con enti no profit o lo svolgimento di altre attività a beneficio della comunità di appartenenza, per un periodo compreso da uno a sei mesi”. La norma prevede che, una volta elaborato il programma rieducativo, il giudice, sentito il minore e l’esercente la responsabilità genitoriale, con ordinanza fissi la durata del percorso di rieducazione e sospenda il procedimento; in caso di esito positivo del percorso, pronuncia sentenza di non luogo a procedere dichiarando l’estinzione del reato, mentre in caso di valutazione negativa trasmette gli atti al p.m. per la prosecuzione del procedimento penale. Tanto l’esito negativo del percorso, quanto la sua interruzione ingiustificata o il rifiuto del minore di accedervi precludono il successivo ricorso all’istituto della sospensione del processo con messa alla prova ai sensi degli artt. 28 e 29 del medesimo d.P.R. 448/1988.
Ulteriori modifiche della disciplina del processo minorile fanno seguito alla conclusione della procedura di conversione in legge:
- anzitutto, la legge di conversione prevede la sostituzione dell’art. 6 del citato d.P.R., rubricato “Servizi minorili”, specificando che l’autorità giudiziaria può avvalersi – in ogni stato e grado del processo – non solo dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia, ma anche dei servizi di assistenza sociali e sanitari istituiti dagli enti locali e dal Servizio sanitario nazionale, purché “senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica”;
- viene poi modificato l’art. 19 c. 5 in modo da permettere al giudice di tenere conto, nella determinazione della pena agli effetti della applicazione delle misure cautelari, della diminuente della minore età anche in relazione ai delitti di cui all’art. 73 c. 5 t.u. stup.;
- ancora, si prevede che la misura della custodia cautelare in caso di gravi e ripetute violazioni delle prescrizioni imposte in sede di collocamento del minore in comunità o di allontanamento ingiustificato dalla comunità possa essere disposta, ai sensi dell’art. 22 c. 4, per i delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni (non più cinque) e senza limiti di tempo (mentre al momento è stabilita una durata massima di un mese), nonché, ai sensi di un nuovo c. 4-bis inserito nello stesso art. 22, nei casi di aggravamento delle esigenze cautelari, alle condizioni di cui all’art. 23 e su richiesta del p.m.;
- viene altresì riscritto il testo del neo-introdotto art. 27-bis in tema di accesso del minore ai nuovi percorsi rieducativi: in particolare, si specifica che l’istituto è applicabile solo durante le indagini preliminari e soltanto “se i fatti non rivestono particolare gravità”, venendo al contempo valorizzato il carattere discrezionale della “proposta” (non più istanza) che il p.m. “può notificare” al minore (non più “notifica”); viene poi leggermente esteso l’arco di tempo durante il quale il percorso può svolgersi, fissandolo in un periodo compreso da due a otto mesi, durante il quale resta sospeso non solo il procedimento penale, ma anche il corso della prescrizione del reato. Mutano anche le conseguenze che l’esito negativo del percorso può produrre sul proseguimento del procedimento penale, venendo meno la radicale preclusione dell’istituto della messa alla prova, ma al contempo prevedendosi la possibilità che il p.m. presenti richiesta di giudizio immediato anche fuori dei casi previsti dall’articolo 453 cod. proc. pen.; lo stesso nelle ipotesi di interruzione ingiustificata del percorso o rifiuto del minore di accedervi, pur prevedendosi espressamente che l’ingiustificata interruzione debba essere “valutata” in caso di successiva istanza di sospensione del processo con messa alla prova;
- da ultimo, la legge di conversione incide sull’art. 28 del richiamato d.P.R. al fine di escludere l’applicabilità dell’istituto della sospensione del processo con messa alla prova nei confronti del minorenne nei procedimenti concernenti taluni gravi reati (in specie, i delitti di omicidio doloso aggravato ai sensi dell’art. 576 cod. pen., violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo aggravate ai sensi dell’art. 609-ter cod. pen., rapina aggravata ai sensi dell’art. 628 c. 3 nn. 2, 3 e 3-quinquies cod. pen.).
Trattamento penitenziario per i minorenni
Ancora, l’art. 9 contempla significative “Disposizioni in materia di sicurezza degli istituti penali per minorenni”: le rilevanti novità su questo fronte sono introdotte dalla previsione dell’art. 10 bis inserito nel D.Lvo 121/2018 rubricato “Trasferimento presso un istituto penitenziario per adulti”.
concernono la possibilità per il magistrato di sorveglianza di consentire, su istanza del direttore dell’istituto penale per i minorenni, al trasferimento presso un istituto per adulti del detenuto che abbia compiuto ventuno anni, in espiazione di pena per reati commessi durante la minore età, il quale, alternativamente a) con i suoi comportamenti comprometta la sicurezza ovvero turbi l’ordine dell’istituto, ovvero b) con violenza o minaccia impedisca le attività degli altri detenuti, o ancora c) nella vita penitenziaria si avvalga dello stato di soggezione da lui indotto negli altri detenuti. Il detenuto che realizzi tutte e tre tali condotte cumulativamente, peraltro, può essere sottoposto al trasferimento fin da quando abbia compiuto diciotto anni; si prevede, inoltre, che in presenza di siffatte condizioni il magistrato di sorveglianza possa negare il trasferimento solo per ragioni di sicurezza, anche del detenuto stesso.
Obbligo scolastico e nuovo art. 570 ter C.P.
Da ultimo l’art. 12 del Decreto Legge, nell’ambito di alcune “Disposizioni per il rafforzamento del rispetto dell’obbligo scolastico”, introduce all’interno del Codice Penale un nuovo art. 570-ter, rubricato “Inosservanza dell’obbligo dell’istruzione dei minori”, che in larga parte riproduce – pur con alcune differenze di non poco rilievo – il testo dell’art. 731 C.P., contestualmente abrogato, che sanzionava a titolo di contravvenzione l’“inosservanza dell’obbligo di istruzione elementare dei minori”.
Il primo effetto della novella, pertanto, è quello di trasformare in delitto la precedente contravvenzione, al contempo inasprendo significativamente la pena edittale: dalla mera – e onestamente risibile – ammenda fino a 30 euro prevista dall’art. 731 alla reclusione fino a due anni. La fattispecie penale è inoltre oggetto di ampliamento, giacché, se la precedente contravvenzione puniva il responsabile del minore che, senza giusto motivo, omettesse di impartirgli l’istruzione elementare, la nuova figura delittuosa vuole reprimere la mancata istruzione del minore durante tutto il periodo di istruzione obbligatoria (dai sei ai sedici anni di età), individuando come soggetto attivo “il responsabile dell’adempimento dell’obbligo scolastico” e come presupposto della condotta il precedente ammonimento del sindaco nella sua funzione di vigilanza sul rispetto dell’obbligo scolastico.
All’ipotesi di dispersione scolastica assoluta, inoltre, viene affiancata una fattispecie originale – contemplata al secondo comma dell’art. 570-ter – di abbandono scolastico, destinata ad applicarsi nei casi in cui le assenze ingiustificate del minore durante il corso dell’anno scolastico siano tali da costituire elusione dell’obbligo scolastico, punita con la più lieve pena della reclusione fino a un anno.
Per queste ipotesi di reato si prescrive espressamente che il p.m. informi il Procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni per le eventuali iniziative di competenza ai sensi dell’articolo 336 C.C. Inoltre, quale ulteriore misura afflittiva, viene disposta l’esclusione del nucleo familiare per i cui componenti minorenni non sia documentata la regolare frequenza della scuola dell’obbligo dal c.d. assegno di inclusione disciplinato dal D.L. 4 maggio 2023, n. 48.
Il disposto dell’art. 570-ter CP. ha subito peraltro alcune modifiche a seguito dell’approvazione della legge di conversione, la quale procede altresì a un riordino della disciplina in materia di vigilanza sull’adempimento dell’obbligo di istruzione di cui all’art. 114 d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado), ridefinendo i compiti del sindaco e del dirigente scolastico.