Decreto 231/2001: le Sezioni Unite escludono la messa alla prova per le imprese

Con la sentenza n. 14840 depositata il 6.04.2023 le Sezioni Unite della Cassazione hanno definitivamente escluso la possibilità per l’ente di essere ammesso alla prova, ai sensi dell’art. 168 bis C.P., nell’ambito del processo instaurato a suo carico per l’accertamento della responsabilità amministrativa dipendente da reato ex D. Lvo 231/2001.

Le norme relative alla messa alla prova non contengono alcun riferimento agli “enti” quali possibili soggetti destinatari delle stesse.

L’applicazione “estensiva” ovvero “analogica” dell’istituto della messa alla prova alle imprese – in mancanza di norme di richiamo o di collegamento – ha fatto registrare nella giurisprudenza di merito decisioni contrastanti, contrapponendosi ad un gruppo di ordinanze negative all’ammissione dell’ente alla prova (cfr. ad es. Trib. Milano, 27/3/2017; Trib. Bologna, 10/12/2020; Trib. Spoleto, 21/4/2021), altre pronunce, invece, favorevoli (Trib. Modena, 19/10/2020; Trib. Bari, 22/6/2022), tra cui quella oggetto di impugnazione da parte delle Procura Generale.

Le Sezioni Unite, richiamando i precedenti della Cassazione (SS.UU. 36271/2016) e della Corte Costituzionale (sent. 68 e 91/2018, 146/2022), convengono sulla natura sanzionatoria penale dell’istituto della messa alla prova attesa la natura e la durata delle prescrizioni, la valutazione di idoneità del programma di trattamento sulla base di criteri ricollegabili alla commisurazione della pena, nonché la previsione dell’art. 657 bis C.P.P. circa lo scomputo del periodo di prova con la pena da scontare in caso di condanna a seguito dell’esito del fallimento della messa alla prova.

La responsabilità amministrativa da reato riguardante gli enti rientra infatti in un genus diverso da quello penale (tertium genus); pertanto, l’applicazione agli enti dell’istituto della messa alla prova sarebbe contraria al principio di legalità della pena e della riserva di legge di cui all’art. 25 comma 2 della Costituzione

Né potrebbe essere consentito ricorrere all’analogia in bonam partem – che, anche ove ritenuta consentita, in certi ambiti, in materia penale – non potrebbe comunque riguardare il caso in esame, tenuto conto del fatto che non vengono in questione sistemi omogenei.

Come in precedenza evidenziato, la responsabilità amministrativa degli enti per un fatto integrante reato costituisce un tertium genus, che mutua dal sistema penale solo le garanzie che lo assistono (al contrario della messa alla prova vivente nell’ambito del sistema penale), che non puo’ comportare un trattamento sanzionatorio non previsto dalla legge e che, seppur invocato dall’ente, comporterebbe la scrittura ex novo da parte del giudice del suo ambito di applicazione, di tempi, contenuti e modalita’ compatibili, all’evidenza in violazione del principio di cui all’articolo 25 comma , Cost. demandando al giudice la “descrizione” e modulazione della sanzione e, ancor prima, la determinazione delle ipotesi a cui essa consegue.

Infine, ricordano le Sezioni Unite, la natura delle prescrizioni che costituiscono il programma di trattamento tipico della messa prova sono evidentemente “ritagliate” sulla persona fisica, laddove, ad esempio, si fa riferimento alla necessità dell’affidamento dell’imputato al servizio sociale per lo svolgimento di un programma implicante, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, “alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali”, dove l’obiettivo di rieducazione e risocializzazione non può essere naturalmente riportato a una persona giuridica.