Corte Costituzionale e prove illegittime – Esclusione delle inutilizzabilità derivate secondo la “teoria dei frutti dell’albero avvelenato”
In un recente pronuncia (la n. 247 dep. 9.12.2022) la Consulta ha respinto le questioni sollevate dal Tribunale di Lecce e relative alla mancata previsione nel nostro ordinamento processuale della inutilizzabilità degli esiti degli atti di ispezione e perquisizione eseguiti dalla polizia giudiziaria in maniera illegittima o non convalidati dall’Autorità giudiziaria con provvedimento motivato.
Le censure del giudice a quo avevano ad oggetto in primo luogo l’art. 191 C.P.P., deducendone la violazione degli artt. 2, 3, 13, 14, 24, 111, 117 Cost. e 8 CEDU, nella parte in cui – secondo l’interpretazione predominante nella giurisprudenza di legittimità, assunta quale diritto vivente – non prevede l’inutilizzabilità dei sequestri effettuati a seguito di perquisizioni e delle ispezioni domiciliari e personali, compiute dalla polizia giudiziaria fuori dei casi previsti dalla legge e la possibilità di deporre sui predetti atti e sui loro risultati.
Il rimettente lamentava, altresì, che l’inutilizzabilità non colpisca anche gli esiti probatori delle perquisizioni e delle ispezioni operate dalla polizia giudiziaria, fuori del caso di flagranza di reato, in forza di segnalazioni anonime o confidenziali e su tali basi autorizzate o convalidate dal pubblico ministero, ovvero convalidate dal pubblico ministero senza indicare gli elementi utilizzabili che le legittimavano, o non convalidate dal pubblico ministero per qualsiasi ragione.
Ulteriore censura riguardava l’art. 352 C.P.P., deducendo la violazione degli artt. 2, 13, 14 e 111 Cost., sia nella parte in cui non prevede che il decreto di convalida della perquisizione eseguita d’iniziativa dalla polizia giudiziaria debba essere motivato, sia nella parte in cui non prevede che, nel caso in cui il pubblico ministero non convalidi la perquisizione nei termini di legge, tutti i risultati probatori della stessa divengano inutilizzabili, «anche in termini di inutilizzabilità derivata».
Infine veniva censurato l’art. 125 comma 3 C.P.P. nella parte in cui non prevede che la nullità (per difetto di motivazione) del decreto di convalida della perquisizione sia assoluta: secondo il rimettente, una nullità solo relativa, rilevabile esclusivamente su eccezione di parte nel rispetto di «tempi e cadenze» tali da richiedere all’interessato una «notevole diligenza», non garantirebbe adeguatamente i diritti fondamentali incisi.
La Corte ha rilevato come le questioni fossero state in parte già proposte dallo stesso remittente e che di fatto sono tese a trasferire nella disciplina dell’inutilizzabilità delle prove un regime di invalidità “derivata” – secondo la “teoria dei frutti dell’albero avvelenato” – che il sistema prevede, in via generale, solo in rapporto alla figura, ben distinta, della nullità (v. art. 185 comma 1 C.P.P.)
Nel respingere le questioni in quanto inammissibili o infondate, la Consulta ha rilevato infatti come, «proprio in ragione delle peculiarità “funzionali” che caratterizzano il sistema delle inutilizzabilità e dei connessi divieti probatori, in ragione dei valori che mirano a preservare, esista una gamma “differenziata” di regole di esclusione, alle quali corrisponde un altrettanto differenziato livello di lesione dei beni che quelle regole intendono tutelare: il tutto, come è ovvio, in funzione di scelte di “politica processuale” che soltanto il legislatore è abilitato, nei limiti della ragionevolezza, ad esercitare».
Quanto alla nullità del decreto di convalida della perquisizione per difetto di motivazione art. 125 C.P.P., i giudici delle leggi hanno evidenziato che, intervenendo la perquisizione interviene nella fase delle indagini preliminari, la parte interessata è posta in grado di eccepire l’eventuale nullità della convalida, potendolo fare fino alla chiusura della discussione nell’udienza preliminare o, se questa manchi, nella fase degli atti introduttivi del dibattimento, entro il termine previsto dall’art. 491 comma 1 C.P.P., senza alcuna compressione dei diritti difensivi.