Colpa professionale – Primario risponde per il reato dello specializzando – Posizione di garanzia del tutor e cooperazione colposa
Importante pronuncia della Corte (Sezione III n. 38354 depositata il 12.10.2022) che ha riconosciuto in tema di colpa professionale la responsabilità del primario del reparto per la condotta gravemente colposa degli specializzandi.
Nel caso in esame, quattro medici e una infermiera erano imputati per avere, in cooperazione fra loro, colposamente cagionato la morte di una paziente, affetta da linfoma di Hodgkin, alla quale, nel corso del trattamento chemioterapico effettuato presso l’ospedale veniva somministrata una dose di Vinbalstina pari a mg 90, a fronte di un dosaggio previsto in mg 9, che causava una condizione di tossicità sistemica cui seguiva dopo circa 22 giorni il decesso per arresto cardiaco.
Nel corso del processo di merito, anche a seguito di un primo annullamento della Cassazione, venivano condannati i quattro sanitari, assolta l’infermiera.
L’infermiera
Quest’ultima, infatti, avendo mostrato dubbi prima di procedere alla somministrazione, si era rivolta ad altro specializzando più esperto e che per consuetudine era il medico in seconda dopo il primario che ne avallava il ruolo di vice. La Corte, a seguito dell’impugnazione, ha confermato l’assoluzione sul presupposto che la somministrazione letale era avvenuta successivamente alla consultazione con lo specializzando che aveva, secondo la ricostruzione processuale, l’esperienza e la fiducia del primario in base alla consuetudine e alla prassi avallata nella gestione quotidiana del reparto. Quindi la sua condotta di sollecitazione del personale medico a rivalutare l’inconsueta prescrizione del farmaco aveva spezzato il nesso di causalità tra la propria condotta e il danno mortale verificatosi.
Gli specializzandi
Confermata anche la condanna degli specializzandi in oncologia che avevano erroneamente indicato un dosaggio maggiore ponendo uno zero di troppo dopo il numero esatto di milligrammi. Uno dei due (l’altro aveva concordato la pena in appello), in relazione al trattamento sanzionatorio, aveva cercato di alleggerire la propria posizione in ragione del caos del reparto scarsamente vigilato dal primario.
La Cassazione ha comunque ribadito che, in tema di colpa medica, il medico specializzando è titolare di una posizione di garanzia in relazione alle attività personalmente compiute nell’osservanza delle direttive e sotto il controllo del medico tutore, che deve verificarne i risultati, fermo restando che la sua responsabilità dovrà in concreto essere valutata in rapporto anche allo stadio nel quale al momento del fatto si trovava l’iter formativo (con la precisazione che il medico specializzando deve rifiutare i compiti che non ritiene in grado di compiere, poiché in caso contrario se ne assume la responsabilità a titolo di colpa cd. per assunzione – cfr. Cass. Sez. 4, n. 6215/2010).
Il primario
Quanto alla posizione del primario, la Corte ha chiarito come al ricorrente non fosse contestata la violazione circa la correttezza della terapia prescritta alla paziente, essendo tale circostanza scontata.
La contestazione, invero, riguardava la cooperazione colposa nel decesso a) per aver contravvenuto ai propri doveri di controllo professionale sull’attività dei due specializzandi dei quali era responsabile e garante giuridicamente in quanto loro tutor, b) di aver disatteso il contenuto prescrittivo della circolare interna quanto alla devoluzione al reparto di ematologia della cura del particolare tumore di cui soffriva la paiziente, c) di aver consapevolmente tollerato che gli specializzandi abusassero scientemente e reiteratamente delle proprie prerogative, esorbitando dalle stesse e comportandosi come sanitari già del tutto formati, capaci e responsabili d) di aver tollerato ciò a fronte della non usuale situazione della paziente, e) di aver operato nel reparto di cui aveva la responsabilità di fatto con criteri organizzativi e gestionali, amministrativi e sanitari, del tutto inadeguati, siccome comprovato dall’assoluta carenza di controlli sui medici lui affidati, circostanza che avrebbe poi avuto un ricaduta eziologica nella morte della paziente, f) di non essersi curato, infine, della corretta tenuta e del controllo costante e della consultazione dei dati della cartella clinica, in tal modo non avvedendosi del macroscopico errore di trascrizione, risalente ad oltre due settimane prima della morte della paziente, e non ponendo in essere quell’attività di controllo e di risoluzione che avrebbe potuto sicuramente salvarla.
Ed invero, sussiste cooperazione nel delitto colposo, a termini dell’art. 113 C.P., quando il coinvolgimento integrato di più soggetti sia imposto dalla legge ovvero da esigenze organizzative connesse alla gestione del rischio o, quanto meno sia contingenza oggettivamente definita della quale gli stessi soggetti risultino pienamente consapevoli (cfr. Cass. Sez. 4 n. 22214/2019).
Ancora più specificamente, si è osservato che ricorre la cooperazione nel delitto colposo per colui che, trovandosi ad operare in una situazione di rischio da lui immediatamente percepibile, sebbene non rivesta alcuna posizione di garanzia, contribuisca con la propria condotta cooperativa all’aggravamento del rischio, fornendo un contributo causale giuridicamente apprezzabile alla realizzazione dell’evento (cfr. Cass. Sez. 4 n. 46808/2021).
Inoltre, in tema di colpa professionale, qualora ricorra l’ipotesi di cooperazione multidisciplinare, ancorché non svolta contestualmente, non può invocare il principio di affidamento il sanitario che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa, poiché, laddove il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell’evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità (cfr. Cass. Sez. 4 n. 24895/2015).
Nel caso in esame, i giudici di legittimità nel confermare la sentenza di condanna per il primario hanno evidenziato la correttezza della decisione della Corte di Appello che si era soffermata sulle disfunzioni del reparto ospedaliero affidato al ricorrente, ravvisate dall’ispezione quanto meno originata dalla vicenda e sfociate addirittura nella chiusura del reparto.
Parimenti, la particolare patologia (di per sé poco diffusa) imponeva al primario del reparto un controllo più stringente sui propri sottoposti e, contestualmente e logicamente, sui pazienti. Al contrario, il primario non soltanto trascurava l’insufficiente preparazione specifica degli specializzandi nel trattamento della paziente (nonostante ciò autorizzati a mettere mano alle cartelle cliniche e a rassicurare il personale infermieristico su dosaggi e posologie), ma addirittura ometteva di verificare la tenuta della cartella clinica che per oltre due settimane riportava l’insana annotazione.