Cassazione – Screenshot delle chat dell’indagato da parte della Polizia Giudiziaria – Inutilizzabilità

Molto interessante la recente sentenza n. 1269 del 13.01.2025 con cui la la Sesta Sezione della Cassazione si è pronunciata in tema di acquisizione della messaggistica istantanea contenuta all’interno di uno smartphone.

E’ frequente nella prassi che la Polizia Giudiziaria includa gli screenshot del contenuto del telefono della persona fermata o arrestata. Ad esempio, nel caso analizzato dalla Corte, questo è avvenuto dopo un controllo effettuato dalle forze dell’ordine sull’auto di un individuo sospettato della detenzione di sostanze stupefacenti.

Gli operanti, dopo aver rinvenuto della droga nascosta dall’indagato addosso alla persona, hanno ottenuto, con il consenso dello stesso, la password per accedere ai dati presenti nel suo dispositivo elettronico. Questa operazione è stata effettuata senza un provvedimento di autorizzazione emanato dall’autorità giudiziaria e senza aver dato preventivamente gli avvisi previsti dal codice di procedura.

Dal punto di vista pratico, sono stati realizzati degli screenshot delle conversazioni presenti nel telefono.

La Corte d’Appello aveva considerato legittimo questo metodo, sostenendo che le fotografie scattate dalla polizia giudiziaria costituivano un’attività di acquisizione alternativa, da qualificare come legittima assunzione di una prova atipica.

La Suprema Corte ha confermato il principio già espresso con la sentenza numero 39548 del 28 ottobre 2024, stabilendo che i messaggi di posta elettronica, WhatsApp, e-mail e SMS conservati su un dispositivo elettronico sono da considerarsi corrispondenza anche dopo la loro ricezione da parte del destinatario. Questo vale fino a quando, per il passare del tempo o altre ragioni, non perdono il loro carattere di attualità rispetto all’interesse alla riservatezza, diventando semplici documenti “storici”. Pertanto, fino a quel momento, la loro acquisizione deve seguire le modalità previste dall’articolo 254 C.P.P. per il sequestro della corrispondenza.

In sintesi i passaggi salienti della motivazione della Corte:

a) Il consenso liberamente prestato dal proprietario dello smartphone, già soggetto a elementi indiziari sufficienti a giustificare la sua posizione di indagato, «non può sostituire la mancanza di un provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria», considerando l’importanza attribuita, in questo contesto, dall’art. 15 Cost. (cfr. Corte cost. n. 170/2023);

b) Considerando che la richiesta di accesso ai contenuti del telefono è avvenuta dopo il ritrovamento della sostanza stupefacente nascosta dall’indagato, è necessario ritenere che qualsiasi ulteriore attività investigativa che richiedesse la collaborazione dell’indagato doveva essere svolta successivamente alla comunicazione formale degli avvisi relativi alle facoltà difensive garantite alla persona, inclusa la facoltà di rifiutare tale collaborazione e il diritto di essere assistito da un avvocato, come previsto dagli articoli 356 C.P.P. e 114 delle disposizioni di attuazione del medesimo codice, non solo per le perquisizioni e i sequestri (articoli 352 e 354 C.P.P.), ma anche per l’apertura della corrispondenza (ex articolo 353 C.P.P.)

c) Anche se il consenso è stato dato dopo l’avviso della possibilità di essere assistito da un avvocato, è essenziale, per prevenire possibili abusi, che in tali circostanze la polizia giudiziaria debba sequestrare il telefono senza accedere al suo contenuto, fino a quando non riceva un’autorizzazione formale dal pubblico ministero, secondo la normativa processuale menzionata riguardante l’apertura della corrispondenza (vedi art. 353 C.P.P.);

d) L’attività di acquisizione svolta dalla polizia giudiziaria in questo caso non può essere considerata come una prova atipica. L’autorità inquirente, in un sistema rigorosamente basato sul principio di legalità, non può deviare dalle previsioni legislative per compiere atti atipici che, pur ottenendo risultati identici o simili a quelli degli atti tipici, aggirerebbero le garanzie costituzionali stabilite dalla legge per questi ultimi.