La Cassazione Penale in tema di bonus edilizi, falsa fatturazione e truffa ai danni dello Stato.

Segnaliamo la pronuncia della Cassazione Sezione Terza n. 42012 depositata l’8.11.2022 in tema di sequestro preventivo emesso, in relazione alla contestazione dei reati di falsa fatturazione per operazioni inesistenti e truffa aggravata ai danni dello Stato, dal GIP del Tribunale di Foggia (e confermato dal Tribunale del Riesame) avente ad oggetto quote di alcune società, ma soprattutto i crediti di imposta maturati nell’ambito dei cd. bonus per interventi edilizi (di cui al D.L 34/2020 e successive modifiche) per un importo complessivo pari ad oltre 1 miliardo di euro,

La contestazione

A seguito dell’individuazione di anomale e rilevanti operazioni effettuate sulla Piattaforma Cessione Crediti, l’Agenzia delle Entrate aveva individuato alcuni soggetti, società e persone fisiche, tra cui i ricorrenti, che, secondo la prospettiva accusatoria, avrebbero ideato e realizzato un sistema fraudolento finalizzato alla creazione e monetizzazione di falsi crediti di imposta simulando la sussistenza dei presupposti costitutivi del beneficio fiscale previsto dal D.L. 34/2020, vale a dire il diritto dei contribuenti alla detrazione dell’imposta lorda dell’intero importo delle spese sostenute per gli interventi edilizi previsti dalla normativa.

Le società, in questo modo, avrebbero da un lato conseguito ingenti liquidità monetarie di lecita provenienza, ottenute attraverso la cessione a istituti di credito o intermediari finanziari (in talune ipotesi attraverso la previa cessione intermedia a società ovvero a persone fisiche compiacenti), dall’altro avrebbero eluso il fisco mediante l’indebita compensazione dei crediti di imposta, con conseguente locupletazione dei profitti derivanti dall’omesso versamento delle imposte dovute, il cd. risparmio di spesa.

Il meccanismo fraudolento sarebbe stato attuato mediante la reciproca fatturazione effettuata nell’anno 2021 tra due società riconducibili agli indagati per importi rilevanti e pari alla quasi totalità dei costi degli interventi edilizi presi in esame (le due società, le cui compagini sociali sono sovrapponibili, negli anni precedenti non avrebbero fatturato nulla se non in termini irrisori; gli immobili di proprietà di una delle società ed oggetto degli interventi erano per la quasi totalità di categoria C/6, stalle, scuderie, rimesse ed autorimesse con evidente sproporzione tra le caratteristiche del bene oggetto dell’intervento edilizio e l’entità degli importi fatturati).

Le ragioni dei ricorrenti

Contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che confermava il decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Foggia proponevano ricorso le difese dei due indagati sostenendo la violazione di legge in ragione dell’insussistenza del fumus del reato di falsa fatturazione (gli interventi non avrebbero riguardato il bonus del DL 34/2020 ma quello del DL 63/2013 cd. ecosismabonus; le fatture erano state emesse in acconto quindi in anticipo rispetto la materiale esecuzione dei lavori secondo quanto previsto dal DL 63/2013; il DL 34/2020, in cui è confluito il DL 63/20213, non avrebbe fatto venire meno i precedenti meccanismi di funzionamento dei bonus), l’erronea identificazione del profitto del reato tributario di cui all’art. 8 DLgs 74/2000 nei crediti di imposta asseritamente generati dalla false fatture di cui si contesta l’emissione (sul presupposto che l’art. 9 DLgs 74/2000 esclude il concorso tra emittente ed utilizzatore delle false fatture cui spetta l’ammontare del credito ceduto, dovendosi identificare il profitto nel solo prezzo del reato, vale a dire nel corrispettivo eventualmente ottenuto per la falsa fatturazione), il mancato riferimento da parte del provvedimento impugnato alla confiscabilità dei beni ex art. 640 quater C.P. e la non identificazione del profitto confiscabile con quello della paventata truffa per la quale non vi sarebbe stata alcuna argomentazione in merito al quantum, ed infine l’assenza di motivazione sul periculum in mora.

La decisione della Corte

Nel rigettare il ricorso degli indagati i giudici della Cassazione hanno rilevato come le operazioni ritenute agevolabili dalle società e quindi da esse poste a fondamento dei crediti ceduti quali prime cedenti, sono state ricondotte a lavori che sarebbero stati effettuati su immobili detenuti fittiziamente dalle stesse società quali conduttrici.

Sotto tale aspetto, afferma la Corte, ogni volta che una delle due società rivestiva il ruolo di conduttore di una unità immobiliare per potersi farsi carico degli oneri di anticipazione del corrispettivo dell’appalto, l’altra società assumeva il ruolo di appaltatore nella qualità di general contractor, che applicava lo sconto in fattura previsto per la misura agevolativa dell’ecosismabonus. Stipulato il contratto di appalto, la società che assumeva il ruolo di GC emetteva fattura nei confronti dell’altra società committente che aveva, dunque, l’obbligo di pagare il 15% della fattura, mentre il restante 85% dell’imponibile aveva titolo per richiedere il bonus fiscale sotto forma di credito di imposta, inviando richiesta all’Agenzia delle Entrate tramite apposita piattaforma.

In realtà, sostiene la Cassazione, la fittizietà dell’operazione sarebbe confermata, secondo il criterio della prova logica, dal fatto che l’entità della forza lavoro su cui le due società potevano contare per eseguire i lavori in qualità di ditte appaltatrici non era coerente con il valore milionario dei lavori già reciprocamente fatturati, peraltro, solo a titolo di acconto e per prezzi esorbitanti rispetto alle caratteristiche degli immobili e agli interventi realizzabili in concreto (documentata presenza di pochi lavoratori autonomi remunerati con importi irrisori e versamento di ritenute su compensi di lavoro autonomo per l’anno 2021 per complessivi 216.000 euro e per lavoro dipendente per 1.335 euro).

A sostegno della tesi accusatoria, inoltre, vi sarebbe altresì l’assenza dei titoli amministrativi abilitativi all’esecuzione dei lavori che, in alcuni casi, sarebbero stati richiesti dalle società indagate alla Pubblica amministrazione solo successivamente all’esecuzione del sequestro impugnato (su 244 pratiche edilizie curate da 12 professionisti, solo 58 cantieri risulterebbero dichiarati come avviati).

Da tali considerazioni la sentenza in commento fa discendere il fumus del delitto di cui all’art. 8 DLgs 74/2000 che sussisterebbe quindi in ragione della emissione di false fatture commerciali con la funzione di simulare l’esistenza delle relative spese sostenute e creare così fittiziamente il presupposto costitutivo del diritto alla detrazione: i correlati crediti di imposta, di importo corrispondente alla detrazione fittiziamente creata sarebbero dunque inesistenti nella realtà, ma esistenti sulla carta e idonei all’utilizzo fiscale.

La Corte ha smentito altresì la tesi difensiva secondo cui vi sarebbe stata la possibilità di emettere fatture “in acconto” rispetto alla materiale ed effettiva esecuzione dei lavori.

La fruizione dei bonus fiscali per gli interventi sarebbe indissolubilmente vincolata all’esecuzione completa degli interventi stessi, secondo quanto indicato nei relativi atti abilitativi e nei tempi previsti dagli atti stessi.

Il principio generale per discernere le spese agevolabili da quelle che non lo sono prevede che le spese, per poter essere detratte con i vari bonus, devono essere fatturate e pagate durante il periodo di vigenza dei bonus stessi, quindi entro la scadenza in applicazione del “criterio di cassa”, sebbene in linea generale è possibile (quando si deve portare la spesa in detrazione in dichiarazione dei redditi) anticipare i pagamenti anche per lavori da eseguirsi (fermo restando che i benefici verrebbero revocati qualora i lavori non terminassero per intero come nei titoli edilizi).

Ben vero, dice la Corte, è possibile monetizzare fin da subito, prima della fine lavori, il credito tramite la sua cessione o lo sconto in fattura ai sensi dell’art. 121 DL 34/2020 “a stato di avanzamento” (SAL), previa emissione del SAL stesso da parte di un tecnico, che attesti l’avvenuta esecuzione di una determinata porzione dei lavori agevolabili (30% per il Superbonus, percentuale libera per gli altri fino al massimo di 9 SAL) e la congruità delle spese sostenute. Tali adempimenti sono stati estesi dal DL 157/2021 a tutti i bonus edilizi.

Tuttavia, per quanto di rilevante nel caso di specie, il tecnico avrebbe dovuto attestare le lavorazioni e le somministrazioni eseguite dal principio dell’appalto sin ad allora, non potendo includere nel SAL lavorazioni che, seppur fatturate e pagate, non siano state eseguite.

In altri termini, secondo il quadro normativo di riferimento, “non può essere rilasciato il visto di conformità relativamente a cessione crediti in presenza di lavorazioni o somministrazioni non ancora eseguite“.

Conseguentemente la Corte ha ritenuto infondata la tesi difensiva secondo cui l’emissione di fatture “in acconto” rispetto a lavori non eseguiti fosse consentita dalla legge.

Altrettanto infondata sarebbe la tesi difensiva secondo cui dovrebbe trovare spazio, anche nel caso di specie, quella giurisprudenza richiamata dai ricorrenti secondo cui per l’emissione di fatture per operazioni inesistenti non può essere disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, sui beni dell’emittente per il valore corrispondente al profitto conseguito dall’utilizzatore delle fatture medesime in ragione del divieto di cui all’art. 9 del DLgs 74/2000 che esclude il concorso tra emittente ed utilizzatore delle false fatture cui spetta l’ammontare del credito ceduto, dovendosi identificare il profitto nel solo prezzo del reato, vale a dire nel corrispettivo eventualmente ottenuto per la falsa fatturazione(cfr. Sez. 3, n. 43952 del 5.05.2016).

Rileva la Corte, infatti, che il sequestro non è stato compiuto nei confronti delle sole società emittenti le fatture, ma anche di quelle che se ne sono avvalse (che attesa la reciprocità sono le stesse), avendo ad oggetto esattamente il credito di imposta generato dalle fattura false e che di fatto costituisce il profitto del reato che, come tale, può essere oggetto del sequestro ex art. 12 bis DLgs 74/2000.

A ciò si aggiunga che proprio l’informatizzazione delle procedure tributarie attribuisce immediata efficacia all’iscrizione nel sistema informatico della situazione debitoria del contribuente, sicché l’alterazione di documenti informatici preordinata a simulare l’esistenza di un credito di imposta produce, con l’accettazione dell’Amministrazione finanziaria che rilascia la relativa ricevuta, l’immediato illecito arricchimento del contribuente e il correlativo danno per l’Erario, conseguente all’eliminazione, in tutto o in parte, del debito tributario.

Quanto al periculum in mora, infine, non rileverebbe il fatto che i giudici della misura non abbiano, nell’adozione del sequestro, operato una motivazione espressa sulle finalità del sequestro funzionali alla confisca ex art. 640 quater C.P., posto che, quand’anche vero, residuerebbe la misura disposta quale sequestro impeditivo. Quest’ultima troverebbe infatti giustificazione “nella necessità di evitare il pericolo che la libera disponibilità dei crediti e delle aziende possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato ovvero agevolare la commissione di altri reati in considerazione della possibilità per gli indagati di generare nuovi crediti di imposta fittizi e di incamerare i crediti di imposta ancora circolanti“.