Bancarotta per distrazione o preferenziale -Compensi dell’amministratore – Criterio di congruità
Segnaliamo la sentenza numero 36416 depositata il 31/08/2023 con la quale la Sezione Quinta della Corte di Cassazione affronta la qualificazione giuridica nei processi di bancarotta della condotta dell’amministratore che sottragga dalle casse sociali il compenso per l’attività gestoria svolta nell’interesse dell’ente in assenza di previsioni statutarie o di delibere assembleari.
Nel giudizio di merito l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di bancarotta distrattiva per aver effettuato prelevamenti per oltre 22.000 euro dalle casse sociali della S.r.l., della quale era stato amministratore unico e socio per il 99% del capitale dalla costituzione sino alla sentenza dichiarativa di fallimento.
Il compenso prelevato in unica soluzione dall’amministratore unico corrispondeva al compenso non previsto né dallo statuto dell’impresa collettiva, né da delibera assembleare, corrispondeva a circa 1.400 euro mensili.
I giudici di legittimità hanno annullato con rinvio la doppia conforme.
Ben vero esiste un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo il quale il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione sia integrato dalla condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare (perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell'”an“, non è determinato anche nel “quantum” – cfr. Sez. 5, n. 30105 del 05/06/2018, Pellegrini, Rv. 273767 – 01, mass. conf. N. 11405 del 2015 Rv. 263056 – 01, N. 50836 del 2016 Rv. 268433)
Ma tale orientamento va calato nella concretezza della vita societaria e non può non confrontarsi con altro orientamento, che la Corte ritiene di richiamare e condividere nel caso in esame, che sollecita una verifica su quale sia la causale del prelievo.
Infatti, il dato formale della assenza di una delibera assembleare o di una previsione statutaria, che fissi il compenso per l’amministratore della società di capitali, deve pur sempre confrontarsi con la circostanza che il prelievo possa essere comunque dovuto nell’«an» e essere congruo, se non addirittura necessitato da esigenze di sopravvivenza, nel quale caso la condotta risulta non più distrattiva, in quanto determinante il pericolo di una riduzione della garanzia patrimoniale per i creditori ma, a fronte della legittima sussistenza del credito, per così dire di necessità, deve ritenersi lesiva del principio della par condicio creditorum, integrando così la fattispecie della bancarotta preferenziale.
Il diritto dell’amministratore ad un equo compenso non può venire meno per l’assenza di una delibera assembleare che ne determini preventivamente l’ammontare, perché il credito matura quando sia stata offerta la prestazione professionale, trattandosi di amministratore ritualmente nominato alla carica ricoperta. La mancanza di approvazione dell’ammontare del compenso da parte dell’assemblea può, in verità, costituire un indice, unitamente ad altri elementi, della non regolarità dell’operazione (cfr. Sez. 5 . 21570 del 16/04/2010, Di Carlo, Rv. 247964; nello stesso senso, Sez. 5, n. 32378 del 12/04/2018, Fagiolo, Rv. 27:3576 – 01, che fa riferimento alla congruità del compenso).
Se, infatti, la somma prelevata corrisponda a quanto normalmente percepito dall’amministratore a titolo di compenso negli anni precedenti quando la società non trovatasi in stato di insolvenza o a quanto percepito dagli amministratori di società analoghe, non si può parlare di vantaggio indebito, avendo diritto chi abbia offerto una prestazione lavorativa al relativo compenso. La legittimità della apprensione del compenso deriva, peraltro, direttamente anche dall’art. 36 Cost., essendo, quindi, determinante non tanto la regolarità formale della operazione, quanto la corrispondenza tra la somma appresa e l’attività effettivamente svolta per la società.