Arresti domiciliari all’estero – la possibilità di applicazione in altro paese dell’Unione Europea
In tema di misure cautelari personali, si segnala il provvedimento dell’8.05.2024 del Tribunale del Riesame di Torino che si è pronunciato in merito alla possibilità di applicare gli arresti domiciliari in altro Stato dell’Unione in cui l’indagato risieda.
Il Tribunale inizia evidenziando come la questione – sollevata anche nel caso di Ilaria Salis (cittadina italiana sottoposta a misura cautelare in Ungheria, con discussioni riguardo alla possibile esecuzione degli arresti domiciliari in Italia) – sia «complessa e dibattuta», trattandosi di «interpretare l’ambito di applicazione della decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio del 23 ottobre 2009 sull’applicazione tra gli Stati membri dell’Unione europea del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle “misure alternative alla detenzione cautelare” e del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36, recante disposizioni per conformare il diritto interno a tale decisione, valutando se fra le “misure alternative” possano essere inclusi anche gli arresti domiciliari».
Dopo aver riassunto i contrasti giurisprudenziali e sottolineato che la questione meriterebbe l’intervento delle Sezioni Unite, data l’importanza della materia, il Tribunale di Torino si allinea all’orientamento interpretativo prevalente, secondo cui la misura cautelare degli arresti domiciliari può essere eseguita nello Stato membro dell’Unione europea di residenza dell’interessato, poiché imponendo l’obbligo di rimanere in un luogo determinato, rientra nelle ipotesi previste dall’art. 4, lett. c) del suddetto decreto legislativo.
Il Tribunale – afferma nell’ordinanza – «ritiene soluzione complessivamente più fondata quella favorevole a ritenere che la disciplina concernente il reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare sia applicabile anche agli arresti domiciliari».
In primo luogo, i giudici osservano che il testo letterale della disposizione normativa dell’art. 4 lett. c) del d.lgs. n. 36 del 2016 non indica in modo inequivocabile l’esclusione della misura cautelare degli arresti domiciliari dal suo ambito di applicazione: il termine “luogo” utilizzato è, infatti, intenzionalmente ampio tanto da essere impiegato dalla legge, non solo per gli obblighi non detentivi di cui all’art. 283 c.p.p. (divieto e obbligo di dimora), ma anche per la misura di cui all’art. 284 c.p.p..
Non rileva nemmeno l’argomento basato sull’equiparazione legale tra custodia cautelare in carcere e arresti domiciliari di cui al comma V dell’art. 284 c.p.p., considerando che dedurre una preclusione generale rispetto alla questione delle tipologie di misure cautelari coercitive applicabili nel territorio dell’Unione da un’equiparazione variabile riferita al profilo esecutivo/afflittivo della misura detentiva privata costituisce una forzatura interpretativa evidente.
Per quanto riguarda l’argomento sistematico sulla funzione complementare del d.lgs. n. 36 del 2016 rispetto alla normativa sul mandato di arresto europeo, il Tribunale afferma che «l’indubbio rapporto di complementarietà fra la normativa in parola e l’istituto del MAE e la relativa procedura di consegna fra Stati membri non implica che l’Autorità giudiziaria competente non possa trovarsi di fronte a opzioni concorrenti e che non sia congruo ed equo rimettere alla stessa la scelta fra le stesse in relazione proprio alle singole vicende cautelari oggetto del giudizio e alle peculiarità che lo caratterizzano». Se, ad esempio, «possono esserci ragioni connesse al processo in corso (accertamenti/valutazioni tecniche che coinvolgono in prima persona l’indagato) che inducono, in presenza di un domicilio sul territorio italiano nel quale eseguire gli arresti domiciliari, a ritenere necessaria la misura cautelare domiciliare sul nostro territorio ed eventualmente a ricorrere all’istituto del MAE», è al tempo stesso vero che, «in difetto di ragioni di questo tipo, e tenuto comunque conto di eventuali gravi difficoltà personali dell’interessato sia nel senso di reperire un valido domicilio sul territorio italiano, sia in relazione al proprio nucleo di vita (affettivo, lavorativo, esistenziale), l’Autorità giudiziaria può ritenere congrua la misura cautelare degli arresti domiciliari nello Stato di residenza dell’interessato ricorrente proprio sulla base della normativa in parola sull’applicazione fra gli Stati membri dell’Unione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare».
In assenza di argomenti letterali e sistematici contrari – osserva il Tribunale di Torino – la soluzione interpretativa che mira a includere la misura cautelare degli arresti domiciliari tra le alternative alla detenzione cautelare per il reciproco riconoscimento tra gli Stati membri trova una prima legittimazione nel suo essere in bonam partem e, soprattutto, sono i principi fondamentali che la sostengono e la animano a rendere questa soluzione più solida e fondata.
Tra questi, viene evidenziato il principio di eguaglianza e non discriminazione, ritenendo il Tribunale iniquo che, a fronte di un giudizio cautelare che consideri adeguata e proporzionata una misura cautelare alternativa alla detenzione (compresi gli arresti domiciliari), si possa imporre un trattamento cautelare significativamente più severo per un motivo estrinseco e spesso del tutto involontario, come nel caso di un turista presente per pochi giorni sul territorio nazionale, privo di legami logistici e umani sullo stesso.
In secondo luogo, tale soluzione è apparsa al Tribunale «maggiormente coerente con i principi di libertà e di presunzione di innocenza che costituiscono e devono costituire l’humus giuridico/culturale dell’Unione Europea», non potendosi mai «trascurare che le decisioni cautelari, che pur incidono sui diritti fondamentali di libertà dell’individuo, hanno una base cognitiva parziale e caratterizzata da un contraddittorio spesso differito e comunque imperfetto rispetto alla fase del giudizio vero e proprio».
Da ciò discende – prosegue il provvedimento – «un delicatissimo meccanismo di bilanciamento fra questi profili e l’esigenza concorrente di fronteggiare gli eventuali pericoli cautelari, fra cui quello di recidiva che sottende il parimenti fondamentale “diritto dei cittadini rispettosi della legge di vivere in sicurezza”; meccanismo di contemperamento che si declina anche nelle basilari regole codicistiche di proporzionalità e di minor sacrificio necessario per cui “la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate”».
Applicando tali principi al caso di specie, il Tribunale di Torino ha evidenziato che se, da un lato, «emerge sicuramente un pericolo di recidiva rispetto a reati colposi di analoga natura» (essendo possibile formulare, alla luce della gravità dei fatti, un «giudizio di sicura, spiccata pericolosità sociale» in capo all’attuale ricorrente), dall’altro, «si tratta di soggetto incensurato (residente in Germania dove vive e lavora: peraltro, il suo documentato radicamento sul territorio tedesco e la sua presenza in Italia per occasionali motivi turistici porta ad escludere il pericolo cautelare di fuga ravvisato dal giudice cautelare di prime cure), che sta subendo un’importante “pena naturale” conseguenza all’aver cagionato la morte della propria moglie e che sta avendo un primo, prolungato contatto con l’esperienza carceraria».
In conclusione, «nella valutazione complessiva della vicenda e di questi differenti profili, la misura cautelare degli arresti domiciliari appare in questa fase del procedimento proporzionalmente adeguata e, tenuto conto che il ricorrente è un turista cittadino tedesco che ha abitazione, lavoro e famiglia in Germania, si ritiene congruo applicargli la misura cautelare domiciliare nella sua abitazione di residenza proprio in Germania».
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