Codice rosso – Violazione del divieto di avvicinamento anche per chi consente alla persona offesa di “avvicinarsi volontariamente”
Con sentenza del 6.02.2025 n. 4936 la Sesta Sezione della Cassazione, in materia di violazione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 387 bis C.P.), ha stabilito la responsabilità per il reato anche di chi, sottoposto alla misura cautelare, permette volontariamente l’avvicinamento della persona offesa.

Nel caso in questione la persona offesa si era recata volontariamente presso l’abitazione dell’indagato, già soggetto al divieto di avvicinamento, e vi aveva trascorso l’intera giornata.
La misura degli arresti domiciliari emessa dal GIP del Tribunale di Pistoia per il reato di cui all’art. 387 bis C.P. era stata annullata dal Tribunale della Libertà di Firenze in sede di riesame con successiva impugnazione del Pubblico Ministero dinanzi ai giudici di legittimità.
Nell’accogliere il ricorso la Cassazione ha evidenziato come l’obbligo di evitare qualsiasi contatto con la persona offesa e la prescrizione di mantenere una distanza minima si applicano anche quando l’incontro con la vittima non sia cercato intenzionalmente dall’indagato: ciò perché questa misura cautelare – pur limitando in modo significativo la libertà di movimento dell’indagato – rappresenta comunque un vantaggio per l’indagato, che subirà restrizioni meno incisive rispetto a quelle previste dalle misure cautelari custodiali disciplinate dagli artt. 284 e seguenti del C.P.P.
Per i giudici la persona offesa ha il diritto di vivere serenamente, libera di frequentare i luoghi di sua scelta e di spostarsi senza ostacoli, con la garanzia che chiunque costituisca una minaccia alla sua libertà fisica o morale mantenga le necessarie distanze, obbligandosi ad allontanarsi anche in caso di incontri casuali.
Nel caso in esame, pur non essendo richiesto l’obbligo di abbandonare la propria abitazione, era comunque richiesto lo ius excludendi: l’imputato, secondo quanto accertato dai Giudici di merito, ha consentito alla vittima di accedere alla sua abitazione, ospitandola per l’intera giornata e, con molta probabilità, anche per più giorni.
In sostanza, secondo la Cassazione, l’indagato avrebbe intenzionalmente e consapevolmente instaurato un rapporto diretto e ravvicinato con la giovane donna, “collaborando” nella violazione originariamente attribuibile alla persona offesa e traendo beneficio dalla situazione creatasi.
La priorità assoluta, infatti, deve essere quella di garantire la sicurezza della vittima, anche contro la sua eventuale volontà.
La volontà della persona offesa non può quindi assumere un valore scriminante, esimente o liberatorio dagli obblighi. È fondamentale procedere sempre con una valutazione accurata dei rischi di letalità, della gravità della situazione e della possibile reiterazione dei comportamenti violenti, ponendo al centro la tutela e la sicurezza della vittima.
Di seguito il testo del provvedimento