Reati tributari – la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo condanna l’Italia sulle ispezioni della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate

Nel procedimento Italgomme Pneumatici S.r.l. and Others v. Italy, n° 36617/18 la CEDU ha sanzionato l’Italia per l’insufficienza delle garanzie offerte dalla legge interna in materia di accessi e ispezioni della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate.

Il provvedimento del 6 febbraio 2025 ha condannato l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione sulla constatazione che l’ordinamento interno non offre garanzie sufficienti rispetto agli accessi e alle ispezioni condotte dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle Entrate presso società, imprese individuali o studi professionali.

È noto, infatti, come gran parte dei procedimenti relativi a reati tributari abbiano origine in un processo verbale di constatazione redatto in ambito fiscale, che non solo rappresenta il punto di partenza, ma costituisce anche una solida base probatoria. Tale verbale, spesso, non richiede nemmeno l’esame dibattimentale del verbalizzante, grazie alla consolidata giurisprudenza di legittimità che ne riconosce la natura documentale, almeno fino alla rilevazione di indizi di reato (si veda, tra le altre, Cass. Sez. 3, n. 26527 dell’11 aprile 2024, Gobbo, Rv. 286792-01).

I ricorsi presentati alla Corte riguardavano l’accesso e l’ispezione di sedi legali, locali commerciali o destinati ad attività professionali. Tali interventi includevano l’esame, la riproduzione e, se necessario, il sequestro non solo di scritture contabili, libri sociali, fatture e altri documenti obbligatori relativi alla contabilità, ma anche di ulteriori documenti rilevanti per l’accertamento fiscale. L’indagine si estendeva inoltre a “qualsiasi altro documento pertinente”, compresi materiali estranei alle scritture e libri contabili obbligatori, come eventuali scritture extracontabili.

Davanti alla Corte Europea è stata segnalata la violazione dell’articolo 8 della Convenzione, evidenziando sia l’estensione eccessiva del potere discrezionale attribuito alle autorità nazionali dalla normativa interna, sia l’assenza di adeguate garanzie procedurali per prevenire abusi o decisioni arbitrarie. Inoltre, è stata sottolineata la carenza di un controllo giudiziario o indipendente, sia preventivo che successivo, sui provvedimenti contestati.

La Corte di Strasburgo ha rilevato l’estensione dei poteri attribuiti dal diritto interno agli Organi preposti all’accertamento tributario.

In merito a tale questione, la sentenza ha evidenziato come non sia necessaria una motivazione per il provvedimento autorizzativo. La Corte ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo la quale l’autorizzazione che permette all’Agenzia delle Entrate di accedere a locali commerciali o professionali (esclusi quelli ad uso abitativo) non richiede una motivazione specifica. Inoltre, è stata sottolineata la possibilità per la Guardia di Finanza di effettuare tali accessi anche in assenza di un’autorizzazione scritta.

Questa mancanza di motivazione comporta che le autorità non siano obbligate a giustificare l’uso dei loro poteri, permettendo di fatto un’ampia discrezionalità (§ 113), che include la possibilità di effettuare accessi e ispezioni a scopo puramente esplorativo (§ 114). Di conseguenza, le normative vigenti, prese singolarmente, non sono sufficienti a definire con precisione i limiti del potere discrezionale attribuito alle autorità nazionali (§ 109).

La Corte ha quindi concluso che la base giuridica delle misure contestate non garantisce una delimitazione adeguata del potere discrezionale conferito alle autorità, non soddisfacendo così il requisito della “qualità della legge” previsto dall’articolo 8 della Convenzione (§ 115).

In relazione all’oggetto e all’ambito di applicazione delle misure contestate, ciò che colpisce la Corte è l’ampiezza dei poteri attribuiti agli organi accertatori. Da una parte, le verifiche possono riguardare tutti i libri, registri, documenti e dichiarazioni scritte, inclusi quelli non soggetti all’obbligo di tenuta o conservazione, presenti nei locali interessati o accessibili tramite dispositivi digitali installati in tali luoghi. Dall’altra, l’ambito delle prove e dei documenti acquisibili dalle autorità nazionali non si limita agli esercizi fiscali oggetto di verifica o a specifiche violazioni, ma può estendersi a qualsiasi documento ritenuto rilevante dalle autorità competenti.

Infine, l’ordinamento interno non assicura un controllo giurisdizionale adeguato, necessario per verificare il rispetto degli elementi sopra menzionati e per garantire un controllo effettivo sia in fatto che in diritto, inclusa la valutazione della proporzionalità della misura adottata.

La Corte conclude che il quadro giuridico nazionale non garantisce tutele adeguate ed efficaci contro un uso illimitato della discrezionalità da parte dell’Autorità fiscale e della Guardia di Finanza. In particolare, non sono state stabilite regole per disciplinare il potere di valutare l’adeguatezza, il numero, la durata e l’estensione degli accessi, delle ispezioni e delle informazioni richieste ai contribuenti, nonché quelle copiate o sequestrate. Le condizioni previste dalla normativa risultano troppo permissive per limitare adeguatamente tale discrezionalità (si vedano, mutatis mutandis, Funke c. Francia, 25 febbraio 1993, § 57, Serie A n. 256-A; Crémieux c. Francia, 25 febbraio 1993, § 40, Serie A n. 256-B; Miailhe c. Francia (n. 1), 25 febbraio 1993, § 38, Serie A n. 256-C) (§ 120).

Per queste ragioni, la Corte conclude che l’ordinamento italiano non soddisfa i requisiti qualitativi richiesti dalla Convenzione. Il quadro normativo nazionale non ha garantito ai ricorrenti il livello minimo di tutela a cui avevano diritto secondo la Convenzione. Pertanto, la Corte ritiene che, nelle circostanze esaminate, non sia possibile affermare che l’ingerenza contestata sia stata conforme alla legge, come previsto dall’articolo 8 § 2 della Convenzione (§ 139), determinando così una violazione dell’articolo 8 della Convenzione (§ 140).

Si evidenzia, data la rilevanza della questione, che la Corte ha sottolineato la necessità di misure generali da parte dello Stato per prevenire il ripetersi di simili violazioni, considerate di natura strutturale. La Corte EDU ha stabilito che “la violazione dell’articolo 8 emersa in questo caso è di carattere sistemico, derivando direttamente dal contenuto del diritto interno rilevante, così come interpretato e applicato dai tribunali nazionali” (§ 146). Di conseguenza, ha ritenuto opportuno fornire “alcune indicazioni su come prevenire future violazioni di questo tipo (si veda Stoyanova c. Bulgaria, n. 56070/18, § 78, 14 giugno 2022)” (§§ 147-149). La Corte ha giudicato essenziale che lo Stato convenuto adotti misure generali per adeguare la legislazione e le prassi nazionali ai principi sanciti, sollecitando inoltre un allineamento della giurisprudenza ai criteri stabiliti. In quest’ottica, la Corte di Strasburgo ha indicato una serie di prescrizioni:

  1. Il quadro normativo nazionale dovrebbe definire in modo chiaro le circostanze e le condizioni che consentono alle autorità competenti di accedere ai locali, effettuare ispezioni sul posto e condurre controlli fiscali presso sedi commerciali e spazi destinati ad attività professionali.
  2. il quadro giuridico nazionale dovrebbe imporre alle autorità nazionali l’obbligo di fornire motivazioni e giustificare di conseguenza la misura in questione alla luce di tali criteri”;
  3. È fondamentale implementare misure di salvaguardia efficaci per impedire l’accesso indiscriminato, oltre alla conservazione e all’utilizzo di documenti o oggetti non rilevanti rispetto alle finalità della misura adottata. Tuttavia, tali misure non devono ostacolare il diritto delle autorità a condurre procedimenti amministrativi separati o, se necessario, azioni penali.”
  4. si dovrebbe prevedere un controllo giudiziario efficace della misura contestata.

Infine, di grande rilevanza per il penalista – per i riflessi che tale principio produce non solo in materia di perquisizioni, ma anche, ad esempio, di intercettazioni – è il presupposto alla base del riconoscimento dell’applicabilità dell’art. 8 CEDU nel caso specifico. I Giudici di Strasburgo, infatti, hanno richiamato e riaffermato la loro consolidata giurisprudenza, secondo cui “in alcuni precedenti concernenti denunce ex articolo 8 relative a perquisizioni di locali commerciali e al sequestro di dati elettronici, è stata rilevata un’interferenza con il ‘diritto al rispetto del domicilio’ e della ‘corrispondenza’ (si veda Bernh Larsen Holding AS e altri c. Norvegia, n. 24117/08, § 105, 14 marzo 2013, e i riferimenti ivi contenuti)”.

Per quanto riguarda la nozione di “domicilio”, è stato sottolineato che “l’articolo 8 deve essere interpretato come comprensivo del diritto al rispetto della sede legale, delle filiali o di altri locali commerciali di una società (si veda Société Colas Est e altri c. Francia, n. 37971/97, § 41, CEDU 2002-III; Vinci Construction e GTM Génie Civil et Services c. Francia, nn. 63629/10 e 60567/10, § 63, 2 aprile 2015; e Bernh Larsen Holding AS e altri, sopra citati, §§ 104-05), così come del diritto al rispetto dei locali utilizzati per attività professionali (cfr. André e altri c. Francia, n. 18603/03, §§ 36-37, 24 luglio 2008, e Xavier Da Silveira c. Francia, n. 43757/05, § 32, 21 gennaio 2010)” (§§ 75-76).